venerdì 20 giugno 2014

TRISTO DESTINO DEI SERVI SCIOCCHI



Il padrone attacca il suo nemico e sa perché. Il servo sciocco sa che deve attaccarlo perché lo dice il suo padrone. Il servo sciocco non ha accesso alla conoscenza, gli è vietato anche soltanto conversare con chi ce l’ha. Il servo sciocco non si pone delle domande, perché non avrà le risposte dall’unica persona a cui gli è consentito di chiedere. Il servo sciocco non ha una personalità, si muove con i fili del burattinaio. Il servo sciocco spesso ha il mal di schiena, la posizione non lo aiuta.
La tragedia del servo sciocco è la caduta in disgrazia del suo padrone. Il servo sciocco che non aveva accesso alla conoscenza, fa irresponsabilmente di sè stesso un insensato bestiario di luoghi comuni restandogli nelle orecchie gli echi delle grida di guerra del padrone. Il servo sciocco ricorda solo chi e non perché doveva attaccare.
Le persone intelligenti, non usano i servi sciocchi; semmai, dovrebbero adoperarsi per destarli e riportarli alla vita normale, al pari delle persone che tengono alla loro dignità e al loro futuro. Ma non tutti i servi sciocchi aiutano in questo compito di emancipazione, causa un'inveterata meschinità d'animo.
Oggi, ad esempio, un servo sciocco, nella sua ossessiva pulsione mentale di boicottare il nemico del suo padrone, si è superato nella sua discesa in basso ed ha cercato di convincere alcuni cittadini che microcippare i cani non costituisce un segno di civiltà e di prevenzione del randagismo, come vuol far credere l’Amministrazione Comunale, ma un espediente diabolico per torturare i cani che morirebbero in preda ad atroci sofferenze. Resterebbero in circolazione solo i somari.
ESERCITAZIONE PER PRATICANTI ABILITATI 
LA DIFFAMAZIONE (NON SUPPOSTA)




  Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.- 

DENUNCIA - QUERELA

            Noi qui sottoscritti Pasquale Francesco Benvenuto, nato il 27 febbraio 1957 ad Acri ed ivi residente in Via San Pio da Pietrelcina, Assessore alla Sanità e Servizi Sociali e Volontari del Comune di Acri, e Salvatore Ferraro, nato il 13 ottobre 1954 ad Acri ed ivi residente in Via Pastrengo, 116, Assessore all’Ambiente e Lavori Pubblici del predetto comune, siamo costretti a sporgere formale denuncia – querela, con istanza di punizione, nei confronti di tal Roberto Saporito, articolista del quotidiano online “Acri In Rete” (www.acrinrete.info), responsabile di una condotta denigratoria dai toni marcatamente personalistici, nonché  nei confronti del Direttore Responsabile del detto quotidiano, per aver omesso il doveroso controllo di quanto pubblicato sulla testata giornalistica in questione.-
            Entrambi, di professione medici, siamo, da poco meno di un anno, amministratori del Comune di Acri,  membri di in una giunta formata da cinque assessori oltre al Sindaco. È la nostra prima esperienza politica e non ignoriamo, ed accettiamo, che per il ruolo pubblico che ricopriamo e per le scelte che adottiamo, possiamo essere contestati e criticati. Ciò che oggi lamentiamo è di essere stati offesi e diffamati non per le nostre funzioni e scelte amministrative ma per non meglio definite e pregresse “vicende poco pulite”, che riguarderebbero, per come scrive l’articolista, le nostre “attività private”.-
            In data 16 marzo 2014, tra le news di “AcrInRete”, è stato pubblicato un articolo, a firma del Roberto Saporito, dal titolo: “Un’altra Acri è possibile. Certo, ogni terra ed ogni epoca ha la sua peste ed i suoi untori” (All. 1); scritto ancor  presente, visibile e consultabile sul sito, nell’archivio delle news, sino ad oggi letto dal oltre 2.564 visitatori (All. 2),  dal contenuto altamente lesivo della nostra dignità, della nostra immagine professionale e della reputazione che godiamo nei nostri rispettivi ambienti lavorativi.-
            Il cronista palesemente ci denigra ed insulta, ci attribuisce comportamenti disonorevoli, non nella, e per la vita amministrativa, ma in quella privata e professionale! Siamo additati come coloro che hanno la “coscienza, ma forse anche la pelle, sporca e puzzolente come il letame”, circostanza che, a dire del cronista, sarebbe nota a tutti! Godremmo, a leggere lo scritto oltraggioso, di una  “reputazione al di sotto dello zero” e di una  “stima scarsissima”! Siamo definiti “assessoricchi”; siamo rappresentati come individui che hanno “sempre vissuto tra soprusi e favoritismi”, come “primitivi”“trogloditi” e “rozzi”!
            L’articolista diffonde circostanze, opinioni e commenti che esulano sia dalla corretta informazione di cronaca sia da un sano e legittimo diritto di critica, perché degenerano in un attacco personale, che oltrepassa ampiamente il limite della continenza nelle espressioni usate, della verità del fatto narrato, poiché slegato da episodi specifici, del diritto di informare, da concreti fatti di rilevanza pubblica, perché nessuna notizia supporta lo scritto, ispirato unicamente da un insana volontà di insultarci.-
La nostra reputazione e credibilità è stata indubbiamente messa in discussione dalle sconcertanti asserzioni dell’articolista, fortemente suggestive per i lettori, ma totalmente inventate e frutto di congetture e supposizioni che non possono trovare giustificazione in verun diritto costituzionalmente garantito.-
            Andiamo al contenuto dello scritto diffamatorio.-
            Nell’incipit dell’articolo, il giornalista espone la sua critica e legittima opinione sui primi mesi di governo dell’amministrazione guidata dal Sindaco Nicola Tenuta, che viene, giustamente, indicato come “persona per bene e capace”. Si ammonisce che “A fine mandato i cittadini, attraverso il voto, giudicheranno se Tenuta ha fatto bene o male”. Si contesta che vi sono stati “Solo ritardi ed annunci” e che “si aspetta ancora la programmazione” in tutta una serie di settori. Si argomenta come il dissesto finanziario abbia tarpato le ali all’amministrazione, per cui “occorre darle ancora tempo e fiducia”. Fin qui, i commenti, condivisibili o meno, appaiono come una lecita e libera critica al governo cittadino. Inaspettatamente, però, l’articolo cambia tenore, si sposta su argomenti evanescenti, su fatti evocati e non specificati, posti in essere (sempre a dire dell’articolista) in passato dai nuovi “personaggi” della politica; e proprio in questa nostra caratteristica, quella di essere “nuovi alla politica”, ci riconosciamo e ci riconoscono i nostri cittadini che leggono l’infamante accusa. Nello specifico, il Saporito scrive: “Questi primi dieci mesi di governo ci hanno regalato nuovi personaggi prima di ora conosciuti solo per vicende poco pulite, ma note a tutti, svolte nelle loro attività private”. Con impareggiabile spregiudicatezza, il giornalista aggiunge: “Vi sono assessori che dimenticano – ahi noi – di essere amministratori e, quindi, personaggi pubblici, e quindi, oggetto di possibili critiche sul piano amministrativo e politico – ma mai sul piano personale”. È incredibile, ma vero! È proprio il giornalista a dimenticare di aver immediatamente prima farneticato di vicende poco pulite afferenti le nostre attività private.-
            Il cronista ci addebita una strategia, quella di “insultare per creare confusione” di “spostare l’argomento sul personale”, di farlo in modo “furbo e vile per non entrare nel merito delle questioni”. Ci addebita proprio la sua condotta, difatti, nel seguito dell’articolo, nuovamente, ricominciano gli insulti, i personalismi, l’elusione di questioni concrete. Così leggiamo: “Sono quegli assessori che hanno la coscienza, ma forse anche la pelle, sporca e puzzolente come letame, lo sanno pure loro stessi, ma lo sanno tutti, anche le pietre ed i muri di molti uffici, perché in città conosciamo vita e miracoli di tutti o quasi”. Lo scritto non è, è evidente a tutti, un esempio di limpidità e correttezza giornalistica; si fanno illazioni ed insinuazioni, si attribuiscono condotte indegne, senza specificare quali siano state, quando siano state poste in essere, in danno di chi siano state perpetrate; solo un becero e meschino sentito dire, un qualcosa che tutti conoscono e che, quindi, è inutile ribadire! Questo non è diritto di critica, tanto meno di cronaca!
            Non basta! Il refrain offensivo non cambia, infatti il cronista aggiunge: “Hanno una reputazione al di sotto dello zero e la stima nei loro confronti è scarsissima…sono degli assessoricchi, insomma, che alla fine del loro mandato ritorneranno nell’oblio in cui erano posizionati dieci mesi fa. Sono quegli assessori che non difendono la libertà di stampa, ovvero l’art. 21 della Costituzione…E’ una questione culturale, un pezzo di carta non può certo modificare il comportamento di un individuo, soprattutto se questi ha sempre vissuto di soprusi e favoritismi. Se un individuo è un primitivo, troglodita, rozzo, lo rimarrà anche dopo aver discusso una tesi di laurea”.-
È un incessante denigrazione non giustificata da alcun interesse ad informare, né da verun diritto di critica. Verun fondamento e veruna rilevanza hanno le notizie, rectius, non notizie, perché si tratta di mere e volgari insinuazioni. Non è consentito ad alcuno di scrivere, pubblicare e quindi diffondere tutto ciò che gli passa per la testa, trincerandosi dietro diritti che non sono assoluti, poiché si scontrano con il nostro legittimo diritto a tutelare la nostra immagine ed il nostro onore dalla divulgazione di notizie diffamatorie, non pertinenti ai fatti di interesse pubblico, che travalicano in maniera preclara il limite della continenza espressiva.-
            La libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 Cost.,. non è assoluta ed incondizionata. La Suprema Corte di Cassazione, recependo l’orientamento della Corte Costituzionale, ha affermato che la libera manifestazione del pensiero non può mai sacrificare l’altrui diritto alla salvaguardia dell’onore, del decoro, della reputazione, del prestigio, beni, quest’ultimi, tutelati come inviolabili da altre norme costituzionali (C. 16.2.1988, Artusi, RP 1988, 733; C 8.3.1974, Carnuccio, CED 127738; C 28.11.1972, Martino, CED 123357; C 16.10.1972, Branco, CED 123384; C 16.4.1972, Sabato, CED 118351; C 8.10.1970, Rodari, CED 116099; C 18.3.1970, De Francesco, CED 114732; C 13.11.1969, Lippo, CED 113925; C 14.5.1969, Page, CED 112154).-
            La chiosa finale è emblematica dello spirito che pervade tutto lo scritto diffamatorio ed è indicativa dello stato di confusione ed irragionevolezza manifestata dal Saporito. Enuncia di voler adottare, nella sua attività professionale, un contegno che è l’esatto contrario di quello manifestato nell’articolo che occupa. “Io spero”, asserisce senza pudore alcuno, “di poter continuare ad esternare le mie idee e da cronista raccontare i fatti senza andare sul personale”. Ogni commento appare superfluo, il cronista è ben consapevole di aver calpestato ampiamente fatti e diritto di critica, spingendosi nella contumelia, nel personalismo becero, nella diffamazione “giustificata” dal “tutti lo sanno”.-
            Non vengono raccontati fatti, ma distorta la realtà; la giurisprudenza della Suprema Corte ha  stigmatizzato le condotte dei giornalisti che ricostruiscono gli avvenimenti in modo da travisare la consecuzione degli stessi, omettendo il riferimento a fatti rilevanti e, per contro, proponendone taluni in una luce artificiosamente emblematica, al di là della loro obiettiva rilevanza, in modo da indirizzare il giudizio del lettore (C 15.3.2002, Di Giovacchino, CED 221864, CP 2003, 3025).-
            Che si sia travalicato qualsivoglia diritto di cronaca ed anche di critica è evidente; le espressioni usate sono palesemente lesive del nostro decoro professionale e sfociano in attacchi personali, con espliciti riferimenti alle nostre attività professionali di medici, così scrivendo, “elargendo laute ricompense”, in caso di futuri problemi pensionistici. Anche per tale ragione, e non solo in quanto assessori ed amministratori nuovi alla politica, ci riconosciamo e siamo da tutti (nell’ambito cittadino e lavorativo) riconoscibili nei “personaggi” diffamatoriamente descritti nel pezzo giornalistico. Le informazioni contenute nell’articolo sono tante e poste  in modo che a nessuno dei lettori possa sfuggire l’identificazione certa del bersaglio dell’attacco denigratorio.-
            Orbene, l’articolista che “sapientemente” e per screditarci propina ed accosta  episodi e circostanze tra loro non pertinenti (ci riferiamo, per esempio, alla parte in cui veniamo associati, senza sapere o solo capire per quale ragione, a chi di recente ha tentato di chiudere la bocca ad un giornale regionale), sembra trascinato da un pettegolezzo “da bar”,  dimentica che il farneticante scritto, i suoi commenti le sue opinioni sono letti da miglia di persone.-
Per giurisprudenza consolidata, il delitto di diffamazione può integrarsi non solo se la sfera morale altrui sia lesa con modalità direttamente lesive ed aggressive della reputazione, ma anche con modalità che, oggettivamente non lesive, tali diventino per le forme con cui vengono estrinsecate. La Corte di Cassazione ha più volte sottolineato che frasi di per sé non diffamatorie possono realizzare l’oggettività del reato de quo se poste in un contesto allusivo; ha precisato che “anche le espressioni dubitative, come quelle insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, possono integrare il reato di diffamazione, quando, per il modo in cui sono poste all’attenzione del lettore, fanno sorgere in quest’ultimo un atteggiamento della mente favorevole a ritenere l’effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati”. Ha statuito, altresì, che “…il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono. Pertanto, anche il riferimento a indefinite sensazioni o la proposizione di interrogativi più o meno retorici può risultare idonea a diffondere una notizia falsa”; ha, ancora, affermato che “…per individuare il contenuto diffamatorio dello scritto occorra valutare non solo il testo letterale, ma anche il complesso dell’informazione rappresento dal testo, dalla sua interpretazione e da ogni altro elemento utile (C., Sez. V, 18/5/2000; C., Sez. V, 2/4/97, n. 3121; C., Sez. V, 12/2/1992, n. 8848; C., Sez. V, 25/5/95, n. 6062; C., Sez. I, 12/3/85, n. 6383).-
Non può invocarsi l’efficacia scriminante del diritto di critica. Il linguaggio diretto ed anche quello allusivo,  il subdolo sarcasmo, le frasi suggestive; la rappresentazione distorta dei fatti che menano ad ipotizzare nostre condotte equivoche ed occulte, vanno ben oltre la “correttezza espressiva”.            Pare superfluo sottolineare che tale limite sia stato ampiamente valicato, soprattutto considerando che, nel caso in parola, non v’era tenzone politica tra competitor, bensì attacco unilaterale e personale da parte di che si definisce “un cronista che vuole raccontare i fatti senza andare sul personale”.-
Circa l’operatività della scriminante del diritto di critica, la Cassazione ha specificato che: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica pur assumendo necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili, in particolare quando abbia per oggetto lo svolgimento di pubbliche attività di cui si censurino le modalità di esercizio e le disfunzioni e si suggeriscano i provvedimenti da adottare, richiede unitamente al rispetto del limite della rilevanza sociale e della correttezza delle espressioni usateche, comunque, le critiche trovino riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale e che, pertanto, esse non si concretino in una ricostruzione volontariamente distorta della realtà, preordinata esclusivamente ad attirare l’attenzione negativa dei lettori” (C., Sez. V, 17/3/2006, n. 9373). Ancora: “…La configurabilità dell’esimente del diritto di critica o di cronaca, con la necessaria correlazione fra quanto è stato narrato e ciò che è realmente accaduto, importa l’inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto riferito, risultando inaccettabile il valore sostitutivo della verosimiglianza (fattispecie in cui è stata esclusa l’esimente essendo stato attribuito in modo non corrispondente al vero alla p.o. il tentativo di condizionare indebitamente l’operato del sindaco e dell’amministrazione comunale, attuato anche mediante un accordo elettorale di natura corruttiva)” (C., Sez. V, 31/5/2004, n. 24709). La Corte ha, inoltre, affermato: “Il diritto di critica, aspetto essenziale del più ampio diritto di libertà di manifestazione del pensiero garantito dalla Costituzione, in relazione al delitto di diffamazione a mezzo stampa, si atteggia a causa di giustificazione quando viene esercitato nei limiti della verità del fatto narrato, dell’interesse pubblico alla sua conoscenza e della correttezza con cui il fatto viene riferito” (C., Sez. V, 15/3/2006, n. 9005; C., Sez. V, 27/2/97, Liguori).-
La Cassazione ha specificato che: “Ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 51 c.p. per il reato di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, per avere efficacia scriminante, postula: l’interesse che i fatti narrati rivestano per l’opinione pubblica, secondo il principio della pertinenza; la correttezza dell’esposizione di tali fatti, in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui reputazione, secondo il principio della continenza; la corrispondenza rigorosa tra i fatti accaduti ed i fatti narrati, secondo il principio della verità, principio comportante l’obbligo del giornalista di accertare la verità della notizia ed il rigoroso controllo dell’attendibilità della fonte” (C., Sez. V, 22/5/2000, n. 5941).-
Lapalissiana è la volontà diffamatoria dell’articolista di compromettere il nostro buon nome, la nostra immagine professionale di specchiati e stimati medici,  la nostra rettitudine morale. La Cassazione ha chiarito che: “Ai fini dell’integrazione dell’elemento psicologico nei delitti di ingiuria e diffamazione non è necessaria l’intenzione di offendere la persona nel sentimento del suo onore o della sua reputazione (animus iniurandi o diffamandi). Non postulando le norme relative alcuna ipotesi di dolo specifico, ai fini della sussistenza di tali delitti è sufficiente il dolo generico e cioè la volontà dell’agente di usare espressioni offensive, con la consapevolezza di offendere l’altrui onore o l’altrui reputazione. Ove siffatta volontà appaia evidente, nessuna rilevanza deve attribuirsi ai fini ed ai moventi che hanno determinato l’agente. È sufficiente, in altri termini, ad integrare l’elemento psichico, la volontà cosciente insita nella consapevolezza dell’attitudine offensiva della condotta” (C., 14.10.75, Ciampo, Cass. pen. Mass. Ann. 1976, 142; C., 17.1.1984, Luci, Riv. pen. 1984, 781; C., 23.9.97, Cantonetti, Cass. Pen. 1999, 151).-
Per il reato di diffamazione pluriaggravata, ai sensi del combinato disposto dell’art. 595, commi 3 e 4 c.p. e dell’art. 13 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, insistiamo nella punizione dei responsabili della condotta delittuosa, riservando la costituzione di parte civile nell’instaurando procedimento penale.-
 Nella deprecata ipotesi di richiesta di archiviazione, chiediamo di essere notiziati ai sensi dell’art. 408, 2° co., c.p.p.-
            Allego copia dell’articolo diffamatorio.-
Acri (CS), 16 maggio 2014.-
Con ossequio.-

            Pasquale Francesco Benvenuto                                                   Salvatore Ferraro



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