sabato 11 novembre 2017

I NOSTRI MIGRANTI.


Giovedì 16 novembre ritornerà ad Acri, nella terra antica dei suoi padri, il Professor Joseph Luzzi (*). (E.C. Non sarà giovedì  ma a fine mese... se Zeus vuole).





A GUARDARE VECCHIE FOTO
di Joseph Luzzi


Ho passato un sacco di tempo negli ultimi anni a guardare vecchie foto di famiglia, di familiari che non ho mai conosciuto (sarebbe più preciso chiamarli con il termine asettico "antenati").

Mentre scrivevo le mie memorie, My Two Italìes, Le Mie Due Italie, ho studiato la storia della mia famiglia su prove materiali della loro vita in Italia del sud, prima che arrivassero come immigrati negli Stati Uniti negli anni 50.

Tutto ciò mi colpì profondamente: le carte di naturalizzazione di mio nonno Carmine Crocco, l’encomio di guerra di mio padre, i certificati di nascita dei miei fratelli e la carta d'identità italiana di mia madre, che citava la sua professione di "casalinga".

Ma niente mi ha commosso come le fotografie. I negativi da tempo sono stati persi, e ho dovuto fare affidamento su stampe multigenerazionali, alcune profondamente sbiaditi. Eppure la possibilità di poter guardare negli occhi delle persone di cui stavo scrivendo, li ha riportati alla vita.

Prima del libro, i miei nonni erano solo nomi. Mia nonna materna, Rosaria Crocco, mi aveva aiutato a crescere da bambino, ma mio padre la rimandò in Italia in collera, sostenendo che era intrigante, quando ero troppo piccolo per ricordarla.

Con il tempo ho finito Le mie due Italie, e ho capito che mia madre era veramente figlio di suo padre Carmine: la stessa espressione calda, lo stesso accenno di nervi e ansia negli occhi che hanno visto troppa sofferenza.

Mi sentivo come se avessi incontrato mio nonno – e mia madre – per la prima volta.

C'è una foto del "vecchio paese" che non compare nel libro, un ritratto di gruppo di alcuni abitanti del villaggio calabrese (Cantari, frazione di Acri, n.d.t).

Prima di vedere questa foto, non avevo mai sentito parlare di queste persone. Eppure nulla, più di questa immagine una volta anonima, mi ricorda più del mondo perduto dei miei genitori, quello che hanno abbandonato per dare a noi, i loro figli, una vita migliore in America.

È tutto lì: le strade sterrate, l'abbigliamento modesto quasi rozzo, la natura corale della vita del villaggio. Anche se la foto era del 1950, poteva anche essere stata del 1800 o addirittura 1700.

I miei genitori sono fuggiti dalla Calabria perché non volevano crescere i loro figli in un mondo che sapevano che sarebbe cambiato poco come questa istantanea cristallizzata.

Da allora ho imparato chi sono le persone: all'estrema destra, il pastore Vincenzo Crocco, il fratello di mio nonno Carmine; accanto a lui, il gigante Luigi, il cognato di Carmine; al centro, sua moglie, Bommina, una casalinga come tutte le matrone calabresi dell'epoca; a destra, amico di mio nonno l'elegante Federico Olfello, un lavoratore; accanto a lui, sua moglie, Anna.

Ho chiesto a mia madre perché era stata scattata quella foto, e lei rispose che forse avevano appena macellato un maiale, e tutti si erano riuniti per una festa celebrativa.

Non conoscevo nessuno di loro, ma i volti di questo gruppo mi hanno aiutato a scrivere il mio libro.

Vedo mio nonno Carmine nel fratello Vincenzo: la stessa piccola e delicata corporatura, portamento fiero e sguardo premuroso. Più di tutto, vedo i miei genitori nella loro prima casa, i parenti e gli amici, che si sono lasciati alle spalle e non sono mai più tornati.

In "l'opera d'arte nell'era della riproduzione meccanica" (1936), Walter Benjamin affermò che le fotografie mancano di "aura": sono create da un processo meccanico (l'impronta di luce su un negativo), piuttosto che dalla mano di un artista, rendendole infinitamente riproducibili.

Ma ha anche sostenuto che una foto può fornire qualcosa che un dipinto o una scultura non può mai: un’indicazione o una registrazione del momento, nello spazio e nel tempo, di quando l'immagine è stata scattata.

Ho sentito il potere dell'osservazione di Benjamin mentre fissavo i miei parenti perduti: erano effettivamente fissati in un punto del passato, conservati per sempre in questo ormai scomparso universo calabrese.

Ma forse una foto può avere un'aura propria. Anche se si trattava di un processo meccanico che ha registrato questi paesani acresi - e anche se li conoscevo solo in forma digitale - ho potuto ancora sentire l'odore del passato, privato e pubblico.

E potevo ascoltare le storie dei miei uomini solo quando potevo guardarli negli occhi.

Articolo postato il 4 Luglio 2014, tradotto da S.F.




(*) I genitori di Joseph Luzzi erano cittadini acresi, abitanti nella contrada lamuconese di Cantari, che come tante famiglie del luogo, in diverse ondate migratorie, nella prima metà del secolo scorso, sbarcarono in America.

Giuseppe (Joseph) è l’ultimo dei 4 figli, e il primo che nacque in America.

La sua famiglia si stabilì e si integrò negli States, dove Joseph seguì brillantemente una carriera scolastica e accademica che lo portò a conseguire un dottorato alla Yale University e ad insegnare al Bard College, nello Stato di New York.


Ha scritto My Two Italies (2014) segnalato dal New York Times Book Review, Il romanticismo italiano e l'Europa. (2008), fantasia e realtà nell'immaginario occidentale, vincitore del Premio Scaglione per gli studi di italianistica, e A Cinema of Poetry: Aesthetics of the Italian Art Film. (2011)

I suoi saggi e le sue recensioni sono apparsi su The New York Times, Los Angeles Times, Bookforum e The Times Literary Supplement.

Dante Alighieri è da oltre vent'anni al centro della sua attività accademica. 

Nel 2015 pubblica Oltre la selva oscura, tradotto in diverse lingue, e che gli fece ottenere numerosi riconoscimenti e premi per il suo lavoro di docente e studioso di Dante.

Oltre agli impegni accademici, Luzzi tiene conferenze su letteratura, arte e cinema in giro per il mondo.

venerdì 13 ottobre 2017

COME MAI?



Onorato di ospitare su Dagoberto uno scritto brillante del mio caro amico e compagno di cammino Damiano Pisarra, di cui apprezzo sensibilità, indipendenza di pensiero e radicalità critica.

“Chi guarda un vero amico, in realtà, è come se si guardasse allo specchio.” Cicerone


IL CHIURITO
In alcuni momenti mi assale un pizzicorino, un prurito, una curiosità, un vero e proprio chiurito, se mi è consentito fare ricorso al vernacolo. Ma bando ai preamboli e veniamo quasi subito al sodo: la piccola mente “che non ha mai prodotto nulla di concreto per la realtà politica acrese”, se non solo qualche maldestro tentativo di infilarmi tra le pieghe di un mondo malato e malsano con la balorda intenzione di cambiare in meglio il sistema, ha partorito un modesto e piccolo pensiero relativo alla vicenda FONDAZIONE MaB.

Lo scorso 6 settembre (e tutti penserete ca fina a mo è dormutu) il consiglio comunale si è pronunciato positivamente (e aggiungo finalmente) in merito all’adesione alla Fondazione MaB, riparando al torto ma soprattutto alla mancanza di lungimiranza politica e amministrativa della passata gestione. E tutti penserete: e quindi??? E mo chi vodissa diri??? Buanu susutu!!! E guarda a Pisarra che sinapsi veloci!!! Bravo, applauso!!!

Però... e c’è un però, perchè ad Acri amiamo complicarci la vita, anche perché se non ci fosse il però, vi chiederete, da dove potrebbe nascere il mio CHIURITO. Ebbene credo che volendo fare una stima esatta del tempo impiegato per discutere questo punto all’ordine del giorno e relativa votazione si arriva a mezz’oretta scarsa, considerato che la vicenda era nota a tutti e che in questo caso, giustamente, maggioranza e opposizione erano pienamente concordi ad entrare nella Fondazione.  Da quando conosco questa vicenda, sponsorizzata dal mio amico Dott. Salvatore Ferraro (meglio conosciuto cum u miadicu e du Scigheatu) all’epoca vice-sindaco (A.D. 2015), mi sono sempre schierato fermamente a favore dell’adesione alla Fondazione, anche in virtù di quell’amore viscerale che mi lega al territorio tanto da averne fatto una ragione di vita, visto che ho la presunzione di occuparmi e qattru petri vecchi o e rasti e ceramidi, cercando sempre di sensibilizzare quelli che mi circondano ad apprezzare la nostra amata-amara terra.

Ma voi (se qualcuno dovesse leggere questo pensiero notturno) vi chiederete, ma insomma su chiuritu??


In occasione del primo dibattimento in consiglio comunale sulla questione Fondazione Mab (A.D. 2016) si era levato un capannello di cittadini amanti delle arti venatorie (che avrebbero fatto meglio a spareari metaforicamente allu Ghiegghiu...e doppu allu dupu, considerata la mia discendenza di cui vado orgoglioso), capannello che si sentiva minacciato dalla Fondazione Mab, definita in alcuni casi anche “Carrozzone”. Ed eccoci al chiurito, vorrei chiedere agli oltre 1000 cittadini che all’epoca avevano sottoscritto un documento contro l’ingresso della nostra amministrazione comunale nella Fondazione, e principalmente al loro rappresentante Tullio Capalbo (mio caro amico ed ex compagno di partito con cui ho militato nel PdCI) come mai in questa circostanza non ci sono state proteste, asserragliamenti, interviste, blablablablabla,  contro l’adesione alla Fondazione.

Un caro saluto

Damiano Pisarra


sabato 30 settembre 2017

IL PRINCIPIO SUPREMO DELLA LAICITA’ DELLO STATO



Un principio ignorato dalle pubbliche amministrazioni



“Lo Stato non può avere nessuna religione ufficiale o tutelata più (o meno) incisivamente delle altre, ed i pubblici poteri devono astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale”. Figuriamoci finanziarla...




Il principio di laicità dello Stato non venne esplicitamente enunciato nella Carta costituzionale del 1948: esso è stato ricavato in via ermeneutica dalla Corte Costituzionale: la laicità costituisce un “principio supremo” dell’ordinamento costituzionale e rappresenta “uno dei profili della forma di Stato” delineati dalla Costituzione italiana.


Secondo la Corte Costituzionale, il principio di laicità implica un regime di pluralismo confessionale e culturale e presuppone, quindi, innanzitutto l’esistenza di una pluralità di sistemi di valori, di scelte personali riferibili allo spirito di pensiero, che sono dotati di pari dignità e nobiltà.


Detto principio, inoltre, si pone come condizione e limite del pluralismo, nel senso di garantire che la sfera politica debba essere neutrale di fronte ad eventuali conflitti tra valori religiosi e che neutrale debba rimanere nel tempo.


Infine il concetto di laicità implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.


Gli elementi che strutturano e costituiscono il “nucleo duro” del concetto giuridico di laicità vengono riassunti in quattro obblighi.

Da essi la dottrina ha dedotto che la Repubblica italiana in quanto Stato laico:


1) non può avere nessuna religione ufficiale o tutelata più (o meno) incisivamente delle altre, ed i pubblici poteri devono astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale;


2) è chiamata a garantire la libertà di coscienza, di pensiero e di religione di tutti gli individui, l’uguaglianza di tutti i soggetti senza distinzione di religione nonché l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge;


3) si dichiara totalmente incompetente a valutare i principi professati da una determinata confessione religiosa;


4) deve rispettare tutte le opzioni religiose e tutti i comportamenti che da tali opzioni discendano, purché questi ultimi siano frutto di una libera scelta e non vadano a configgere con altre libertà costituzionalmente garantite che siano ritenute preminenti ed inderogabili.


Il principio di laicità, in quanto “principio supremo”,
non si limita a costituire un parametro di legittimità delle leggi ordinarie, degli atti aventi forza di legge e di tutte le altre fonti sub-legislative, ma si spinge sino ad indicare il canone in base al quale vagliare la legittimità delle stesse leggi costituzionali e delle leggi di revisione della Carta fondamentale, poiché si colloca in una posizione gerarchicamente superiore a queste.



Questo principio supremo viene continuamente ignorato e trasgredito dalle pubbliche amministrazioni.
Viene ignorato in particolare da Enti, come i Comuni e le Regioni, specie se amministrati da giunte di sinistra (o sedicenti tali).

Per restare a casa nostra, istituire un Assessorato alla Santificazione di un beato, non sarebbe venuto in mente nemmeno ad un sindaco democristianissimo come Pierino Buffone…

Sarà che non c’è più la sinistra laica e anticlericale di una volta, da quella di Garibaldi a quella di Salvemini, da quella di Bordiga a quella di Togliatti…. la sinistra “mangiapreti”

 Sarà che, da quando è nato lo Stato Italiano, è sempre stata la sinistra (o sedicente tale) a sottoscrivere gli accordi con lo Stato Vaticano: la sinistra rivoluzionaria di Mussolini, quella riformista di Craxi, quella all’acqua di rose del rottamatore.

 Fatto sta che questo Stato, in contraddizione con i suoi stessi princìpi, assume ogni giorno di più, le caratteristiche di “uno Stato confessionale, cioè piegato alla morale esclusiva della Chiesa” (Gavino Angius, senatore Pd, fuori dal coro).






domenica 24 settembre 2017

LETTERA APERTA AL SINDACO DI ACRI E ALL’ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE





“Noi Calabresi siamo, in genere, ignoti a noi stessi; noi siamo i primi a disconoscere i pregi non comuni della terra nostra…” Francesco Capalbo, “Il poema del bosco”, 1916.


IL PATRIMONIO COMUNALE DORMIENTE
Nel 1864 Vincenzo Padula scriveva sul Bruzio: “Egli è certo un cattivo figliuolo chi ignora il numero, la natura, i debiti, i crediti e’l prodotto dei fondi appartenenti alla sua famiglia; ed è un cattivo cittadino chi trascura di conoscere i beni, i bisogni, ed i pesi del Comune o dello Stato ond’è parte.”

Purtroppo, continuava ironico e disperante il Padula, è assurdo oggi pretendere che il popolo – in mezzo al quale abbondano i valentuomini cui l’intelligenza non manca - conosca il proprio territorio e che sia “fornito delle più elementari notizie che concernono le condizioni amministrative ed economiche del proprio Comune.”

Dopo più di 150 anni, nel nostro Comune non è cambiato nulla, i nostri luoghi sono sconosciuti alla quasi totalità di chi vi è nato e vi vive. Se non conosci un territorio forse puoi amarlo, ma non puoi pensare di sapere quali siano i suoi bisogni e di poterlo migliorare, valorizzare, promuovere, amministrare…

“La cognizione degli affari comunali era una specie di scienza occulta: pochi adepti ne sapeano qualche cosa e l’ignoranza degli altri cittadini agevolò furti e le usurpazioni, e tolse via la possibilità di denunciare quelle usurpazioni e di rivendicarle.”

E’ sempre il Padula nello stesso articolo pubblicato sul suo giornale. Il riferimento era alle grandi usurpazioni perpetrate in quei tempi dai proprietari terrieri e dai parvenu del nuovo Stato Unitario. Accanto a quelle, nel dopoguerra, sono state consumate una miriade di piccole usurpazioni ai danni del nostro Comune.



Ad Acri le persone che conoscono il territorio comunale nella sua globalità, si possono contare sulle dita di una mano (di un falegname distratto, direbbe mio figlio).

Uno di questi è il Prof. Francesco De Marco.

Il prof. De Marco non è un ingegnere, né un geometra, né un agronomo, ma per la versatilità del suo intelletto e per la sua sete di conoscenza si potrebbe definire la memoria geografica, nonché storica, del Comune di Acri.

In virtù di questa sua peculiarità fu invitato dalla passata amministrazione, nel febbraio 2016, per un breve periodo di collaborazione – gratuita – finalizzata ad uno studio del Patrimonio Comunale, del quale nemmeno i pochi “adepti delle scienze occulte” presenti nel nostro Ente, ne sapevano stimare la reale entità.

Il Prof. De Marco, in un mese di duro lavoro, preciso, rigoroso e ponderato, giunse a redigere una relazione dettagliata del Patrimonio Demaniale Comunale che portò alla scoperta di una sconosciuta, fino ad allora, ricchezza patrimoniale dormiente, che avrebbe potuto e dovuto ispirare, suggerire e veicolare azioni amministrative tendenti a renderla produttiva.

Il monitoraggio, in particolare del patrimonio silvo-pastorale, dove regnava una grande complessità in termini catastali, fu effettuato dal Professore con un lavoro diligente e minuzioso di recupero dei dati presso il catasto e di integrazione e aggiornamento dello stato del patrimonio storico comunale che da sempre giaceva indisturbato in chissà quale armadio del nostro Comune.

Il Professore ha effettuato centinaia di visure catastali ed ha individuato, attraverso i fogli di mappa, le aree del territorio dove insistono le particelle. Ha scorporato le particelle di cui il Comune ha diritto di proprietà assoluta dalle particelle in cui gravano vincoli di livellario o enfiteusi.

Ha raggruppato le particelle che insistono nella stessa area geografica per meglio evidenziarne la superficie.

Insomma, dopo un incredibile e defatigante lavoro, il Professor De Marco presentò la sua relazione al Sindaco, alla Giunta e ai responsabili di settore.

La relazione venne recepita con entusiasmo e con tanti ringraziamenti da parte degli interlocutori amministrativi al punto che… finì, per inconfessabili e inconfessati motivi, probabilmente nel medesimo armadio adibito al coma vegetativo della memoria storica acrese.

Poiché l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Pino Capalbo sembra mandare chiari segnali di interesse verso la valorizzazione e la promozione del nostro territorio – l’adesione alla Fondazione MaB è uno di questi –  propongo, con questa lettera aperta, al Signor Sindaco e all’Organo Straordinario di Liquidazione, di voler prendere in considerazione il pregevole studio portato a termine dal Prof. De Marco perché potrebbe rappresentare uno strumento di reperimento di risorse utilissimo in questo momento di gravose difficoltà finanziarie per il nostro Ente.



BIGNAMI DEL PATRIMONIO COMUNALE DI ACRI

secondo il Prof. Francesco De Marco (e secondo il Catasto).

Il patrimonio del nostro demanio comunale può essere suddiviso in tre gruppi.

Patrimonio Comunale dei Grandi Fondi: Galluzzo-Gallice-Varrise, 482 ettari. Su di essi sono stati concentrati un piano di assestamento nel lontano 1966 e un piano di taglio produttivo nel 2014.

Demanio Comunale del Fondo Pietramorella. 736 ettari.

Da decenni i terreni della “Montagna di Pietramorella” sono stati occupati e quotizzati per gli usi civici. Nel 2014 l’Amministrazione comunale ha pubblicato un avviso di alienazione di questo patrimonio disponibile, riservato ai possessori dei quozienti, a fronte di un valore di vendita abbastanza favorevole. Alcuni atti di acquisto e frazionamento sono già avvenuti, ottenendo così la possibilità di sistemazione giuridica e catastale agli occupanti, buona parte delle quote dovrebbero essere presto acquistate, non essendovi per i possessori alcun’altra strada diversa dalla legalizzazione

Patrimonio Demanio Comunale dei Piccoli Fondi (questo sconosciuto).

Su di esso si è concentrato il lavoro di ricerca del Professore.

Disseminato su un vasto territorio, con i suoi 748 ettari e diverse centinaia di particelle, rappresenta un forte potenziale economico per il Comune.

Molte particelle nel tempo hanno vissuto momenti di occupazione. Alcune ingiustamente illegali per disattenzioni amministrative e tante complicità. Molte altre con contratti agrari - enfiteusi e livellario - ma tutte senza che il Comune, legittimo proprietario, abbia mai incassato una lira o un centesimo per la locazione.

Gli amministratori di oggi dovrebbero assumersi il delicato compito di verificare la situazione esistente e agire con azioni amministrative mirate e determinate per riappropriarsi dell’enorme ricchezza patrimoniale (dormiente) da cui potrebbe trarre beneficio la situazione finanziaria del nostro Comune.

Se gli amministratori di ieri si prendevano il lusso di “distrarsi”, oggi occorre essere attenti e responsabili, e  rivendicare le usurpazioni”.

Nella speranza di aver segnalato alle SS.LL. uno strumento utile di reperimento di risorse, ed un competente referente esperto in materia, porgo

Cordiali Saluti.

Salvatore Ferraro






sabato 2 settembre 2017

INCENDI. LA GRANDE RESPONSABILITA’ DEI COMUNI.




 Di fronte alla violenza e allo stupro perpetrato quotidianamente ai danni di Madre Natura c'è solo da incazzarsi... e ognuno si sfoga a modo suo. E chi ci càpita ci càpita.
In due mesi migliaia di incendi in Calabria hanno cancellato 30.000 ettari di territorio. E’ andato distrutto il 10% dell’intero patrimonio boschivo, con tutti i danni diretti e indiretti correlati.
Una catastrofe ambientale che non ha impedito a quegli “impediti” che occupano indegnamente le poltrone del Consiglio Regionale di andarsene in ferie per 43 giorni (dal primo agosto all’11 settembre). Un Consiglio Regionale da recordman di fannullonismo: la bellezza di sei Consigli convocati in otto mesi, per un totale di 20 ore di aula,scatrejerebbero” di fatica dei tori figuriamoci degli “impediti”. Visto che un Consigliere prende minimo intorno a 20.000 euro al mese, cadauno hanno guadagnato 8.000 euro all’ora. Forse nemmeno Neymar … 
Vabbè, a fare in quel posto vi ci manderò in un prossimo articolo, questo ha un altro oggetto.
Anche se resta il fatto che il Presidente della Regione Oliverio, la sua giunta e il Consiglio tutto, non hanno mosso un dito di fronte ad una emergenza così catastrofica. La tutela del territorio non è affare loro, anche perché entrerebbero in conflitto con chi il territorio lo devasta - tagliando abusivamente e bruciando boschi - e li vota. Ma la prima loro preoccupazione è il consenso, non importa la provenienza. I voti, come la pecunia, non puzzano.
Abbiamo scritto un po’ tutti delle responsabilità che, al netto dei piagnistei di quanti non amano informarsi, risalgono dai più alti vertici dello Stato, fino ai singoli cittadini che dovrebbero avvertire il senso dello stato, o senso civico, e collaborare.
La sciagurata legge Madia, il ministro che non ne ha azzeccata una, che ha smantellato il Corpo Forestale dello Stato, unico corpo dotato di uomini e mezzi capaci e competenti in materia di prevenzione e spegnimento degli incendi. Corpo Forestale al quale erano già stati sottratti compiti da parte delle Regioni. Come si fa a non pensare che dietro a questo smantellamento non vi sia un disegno ordito dai malaffaristi che stanno dietro la distruzione dei boschi…
Poi abbiamo le centrali a biomassa, che non solo inquinano con i loro fumi e le loro ceneri, ma sono i mandanti dei predatori delle nostre foreste che sottraggono salute a noi e al nostro ambiente e che creano danni irreparabili al paesaggio e al patrimonio naturale.
Qualcuno, mal informato dice che c’è bisogno di una legge… che Oliverio ha preparato una legge… che forse no… potrebbe rivederla se...
Palle (nomen omen: Palla Palla). Non esiste uno Stato che abbia più leggi dell’Italia. In tema ambientale siamo i primi in assoluto. In materia di incendi poi siamo all’avanguardia. Ci sono le leggi e basterebbe solo applicarle, e farle rispettare da parte di chi ne ha il compito/dovere. Ma non è mai così. Ecco un esempio.

Le responsabilità dei Comuni.
Allego a titolo esemplificativo un’ordinanza che tutti i Comuni devono obbligatoriamente emettere nella primavera di ogni anno. Pochi Comuni ottemperano, quasi nessuno destinatario le rispetta, quasi nessun comando incaricato le fa rispettare.

L’ordinanza dell’8 maggio 2014, sollecitata dal sottoscritto (sì, mi autoreferenzio!) ed emessa da un valente (non ironico) responsabile di settore (negli ultimi due anni purtroppo c’è stata una crisi mnesica),

VISTO tutti quei Decreti Legislativi e Leggi dello Stato elencati in premessa, fa obbligo
“Ai proprietari e/o conduttori di aree agricole non coltivate, di aree verdi urbane incolte, ai proprietari di terreni edificabii, ecc., di effettuare i relativi interventi di pulizia a propria cura e spese dei terreni con la creazione di fasce di pulitura di larghezza minima di 10 metri e di almeno venti metri lungo le strade che confinano con i boschi”.
Avete letto bene. Venti metri lungo le strade che confinano con i boschi! Tenuto conto che quasi tutti gli incendi partono dal bordo delle strade, provate ad immaginare quanto sia fondamentale nella prevenzione degli incendi il rispetto di queste disposizioni!
Il problema è che, mentre nei Comuni del Trentino o del Veneto, queste ordinanze vengono rispettate e fatte rispettare, da noi, quando vengono emesse, non le rispetta quasi nessuno. Né tantomeno viene in mente a chi le deve far rispettare di utilizzare tutti i propri poteri per persuadere chi se ne sbatte delle leggi e delle regole. E purtroppo l’unico mezzo di persuasione, per chi non ha senso civico, è quello che… te lo facciamo venire con una sanzione, che già 500 euro sono poche, ma l’anno prossimo, se non ottemperi, te la facciamo del doppio.
Ne oso chiedere - perché qualcun altro dovrebbe farlo - come mai non sono state emesse ordinanze sulla creazione di fasce di pulitura di recente.
Non oso chiede - perché qualcun altro dovrebbe farlo - a quella onesta e bella persona (non è ironico) che ha il comando della Polizia Municipale quante multe sono state elevate a quanti trasgressori.
Purtroppo viviamo nel paese del Bengodi, dove tutti gli amministratori del passato, del presente e forse de futuro, hanno fatto passare il messaggio e dato anche disposizioni di non vessare i cittadini contravventori della legge, dalle più gravi forme di abusivismo alle più banali trasgressioni di ordine ambientale, per il nobile motivo che riguarda la ricerca del consenso. E che rappresenta uno degli aspetti della degenerazione del sistema sociale di tutto il Sud in generale, e della nostra Regione in particolare: clientelismo, assenza di senso civico, mafie.
Poi ci sono anche motivi di opportunità, diciamo così, relazionale. Ricordo un brigadiere del Corpo di Polizia Municipale che alla mia domanda sul perché fosse così ridicolo l’introito proveniente dalle multe, mi rispose che lui, personalmente, da quando ne aveva fatta una e il sanzionato gli aveva tolto il saluto, non ne aveva fatte più.
Altra grande responsabilità del Comune negli incendi dei boschi la potete trovare, se non vi siete già sfastidiati di leggere, aprendo questo link




martedì 22 agosto 2017

L'IGNORANZA E' MENO DANNOSA DEL CONFUSO SAPERE.




L'INSENSIBILITA' ASSOLUTA DEI POLITICANTI CALABRESI VERSO IL NOSTRO PATRIMONIO STORICO E CULTURALE.
L'incendio di Cosenza è stato spento, anche grazie al fiume di lacrime di coccodrillo che è sceso lungo Corso Telesio, ma non si sono ancora spenti gli appelli appassionati di esperti che continuano a susseguirsi su tutta la stampa nazionale.
Il danno conseguente all'incendio doloso non è poi così grave, trattandosi di "fotocopie", e visti i personaggi da operetta che dominano la scena e sui quali fa luce e diverte un articolo di IACCHITE,  http://www.iacchite.com/cosenza-roberto-bilotti-identikit-un-mecenate/ ma dimostra, 1. la mancanza assoluta di prevenzione e tutela del nostro patrimonio culturale da parte di una classe politica incapace e insensibile, 2. l'indifferenza e l'impotenza dei calabresi di fronte alla progressiva distruzione del nostro patrimonio culturale, che più che materiale, è mentale.
Pubblico un ottimo articolo del Prof. Ocone che ho avuto il piacere di conoscere, ma che, come tanti altri, non conosceva la reale entità di questi "tesori".

BERNARDINO TELESIO

  LA VERGOGNA DEI TESORI BRUCIATI  


  di Corrado Ocone (*)

Fonte: Il Mattino 
La natura non ha un fine ad essa esterno ma è solo materia che si aggrega e disgrega secondo i modi che, attenendosi strettamente alla realtà della cosa, lo scienziato scoprirà mano a mano. E lo farà con un processo conoscitivo che, a sua volta, non avrà nulla di “miracoloso” ma si realizzerà attraverso i dati che ci provengono dai sensi e che l’intelletto elabora.
L’universo, per Telesio, non ha più nulla di stabile e stabilito, come in Aristotele e nella tradizione del cristianesimo medievale: non esiste nei suoi elementi una gerarchia, un alto e un basso prestabiliti. La vita umana, almeno quella biologica, è pienamente inserita in questo meccanismo: non ha altro fine che non sia in se stessa, nella volontà di conservarsi e di accrescere il proprio potenziale di vita.
Telesio, pur con mille accorgimenti tattici, dice questo prima di Galileo, di Bacone, di Hobbes, i quali tutti gli sono tributari. E tutti gli saranno nelle loro opere riconoscenti per il contributo originario che ha dato alla vera e propria “frattura epistemologica” che segna l’inizio dell’età moderna.
Quando Benedetto Croce, nel ripercorrere le vicende del Regno di Napoli, scrive che è agli uomini di cultura, al loro contributo, che si deve la parte di dignità che tocca anche a noi meridionali, è a personalità come Telesio che sicuramente pensava. Fa perciò specie che sia proprio il Mezzogiorno, nelle sue classi dirigenti prima di tutto, ma anche nella parte più ampia dei suoi cittadini, ad essersi del tutto dimenticato di questo contributo di cui sarebbe giusto e utile “menar vanto”.
La cosa che impressiona di più nell’incendio di Cosenza, ove rari manoscritti e pergamene di Telesio, e anche la prima edizione a stampa del De Rerum natura sono andate distrutte, è proprio l’insensibilità che le autorità pubbliche cittadine avevano mostrato di fronte ai ripetuti appelli del proprietario dello stabile. Il quale aveva messo puntualmente e inutilmente in guardia dei rischi che un così prezioso e raro materiale correva per via dell’occupazione abusiva dell’appartamento sottostante.
Più che insensibilità, si è trattato probabilmente di ignoranza, di quella incapacità di cogliere l’importanza simbolica e identitaria che per una comunità dovrebbe avere un così prezioso patrimonio storico. Tanto più quanto esso, come nel caso in questione, richiama ad una dimensione universalistica, europea, moderna, che il nostro Mezzogiorno, chiuso nel suo sterile provincialismo rivendicativo, non ha più quasi avuto dai tempi di Telesio.
Strana sorte quella nostra di aver anticipato e contribuito a costruire la Modernità, ma poi essercene come ritirati. Ma tant’è!
Mentre piangiamo la perdita irreparabile, sarebbe giusto pensare con consapevolezza al futuro, affinché casi del genere non abbiano più a verificarsi. Sarebbe bello e utile censire il patrimonio culturale di tutto il Mezzogiorno, farne un motivo di orgoglio, studiare forme per valorizzarlo. Sarebbe anche bello inserire questo lavoro in una europea rete della cultura, tanto più che oggi fare quello che a suo tempo fece Telesio, cioé stringere rapporti con i dotti di tutta Europa ed entrare in un circuito di elaborazione intellettuale sovranazionale, sarebbe estremamente più facile.
Sarebbe tutto bello e utile sì, ma temo che non se ne faccia niente anche questa volta. Metabolizzeremo anche questa perdita. Come a Cosenza, guarderemo indifferenti o impotenti alla distruzione progressiva del nostro patrimonio culturale. Non dico ad altre distruzioni materiali, ma a quella distruzione mentale che avviene ogni volta che voltiamo le spalle al nostro passato alla ricerca di un futuro diverso che in questo modo non arriverà mai. 
(*)   Corrado Ocone, è un filosofo e saggista di BeneventoSi occupa soprattutto di temi concernenti il neoidealismo italiano e la teoria del liberalismo.
Allievo di Raffaello Franchini, è borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli negli anni 1993-1994. Qui ha l’opportunità di lavorare direttamente nella biblioteca personale di Benedetto Croce e con l’aiuto di Alda Croce, figlia del filosofo, raccoglie e analizza il materiale scritto nel mondo su di lui.
È direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma. 
È membro del Comitato Scientifico della Fondazione Cortese di Napoli e del Comitato Storico Scientifico della Fondazione Craxi. 
È fra i promotori del Centro Collingwood di Napoli.
(Wikipedia)



lunedì 17 luglio 2017

Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda


C'erano una volta le Guardie Forestali




“Nur noch ein Gott kann uns helfen”.  M. Heidegger.

“Innalzo, invece, una preghiera all’imperfetta bellezza della Calabria ed alla sua antica dea, Afrodite. La imploro di continuare, come fa da secoli, a rigenerare le distruzioni, a risanare le ferite, a risollevare gli animi, a infondere fiducia, a creare speranza. Tutto il resto spetterebbe a noi. Ma sono certo che come sub-umani, geneticamente modificati dal consumismo, dall'edonismo, dall’ignoranza, dall’imprevidenza, dall'irresponsabilità, continueremo a far del male alla nostra casa e a noi stessi.” F. Bevilacqua

Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda
di Angela Maria Spina


Che il fuoco sia il primo dei 4 elementi fondamentali secondo le cosmogonie occidentali e le tradizioni sapienziali dell’antichità, è un dato ben noto ed acclarato a tanti. Ma che nell’estate del 2017 il fuoco potesse diventare uno degli elementi più devastanti del paese, non certo nell’accezione di energia e passione, era forse immaginabile. Il fuoco dunque, come punto cardine e metafora di un paese, specie nella sua cinta centromeridionale, che letteralmente si sta consumando tra le fiamme del proprio inferno, nel suo verosimile girone dantesco, da cui è quasi possibile scorgere simbolicamente un cartello: “Lasciate che si arda”.

Nelle zone in cui si elevano alte le fiamme ed i roghi infatti, si è trafitti ogni volta come quelle zanzare che fanno colare il sangue nutrendo la terra piena di vermi. Qui si rende possibile quel balzo metaforico pur sempre necessario, verso ciò che associa al genere umano di soli carnefici, che sanno sempre bene come annientare e distruggere la vita. Rappresentazione esagitata di un genere tutto maschile, che sa come piangere con lacrime asciutte di fieri uomini, invece che non quelle delle madri che versano lacrime amare per i figli infelici e tristi, defunti oppure randagi come cani nel mondo. Giovinezze disperse ed allontanate che oggi come ieri cercano asilo, ancora nelle nuove moderne americhe.

Quel fuoco è spaventoso ed orribile,  assimilabile all'elemento fecondante paterno, che mutua dal calore del cielo, il suo tentativo di operare una sterilità annichilente, quella cioè che non riesce ad essere feconda di un vero cambiamento e malgrado voglia, sa di non potersi unire all'elemento tutto femminile, di terra fertile concepita come archetipo, generato non come un giovane germoglio o essere vivente, che irrora e distilla trasformazioni e magari inviterebbe anche a berne al calice della propria sana prolificità. L’Italia centro meridionale combatte e si dimena come può, tra le fiamme alte ed i roghi, in cui solo alle salamandre, sarebbe dato sopravvivere, come nei rimandi letterari mitologici di creature alchemiche, che proprio perché considerate immortali e resistenti al fuoco, intessono quando possibile, poveri e miseri pensieri, quelli di disperati uomini perennemente in cerca anche storicamente sempre di un altrove, dove vivere meglio e bene, piuttosto che in quella loro propria terra amarissima, dove è più facile rincorrere vuote schegge e ombre di un abitare il sud che oramai da tempo è divenuto buio, afono di  suoni ormai del tutto muti ed inerti; specie nei tanti paesi minuscoli e piccoli, abbandonati ad un isolamento inesorabile, in cui solo il suono dell’emigrazione e dello spopolamento, echeggia altero e fiero.

C’è un Sud apparentemente perduto, che ancora cerca di capire il perché di tanto accanimento, di sì tanto scempio proprio col fuoco, quello che altresì nell’anima povera dei suoi contadini si sapeva sempre come trattare e rispettare, per tradizione antica.

C’è anche un Sud attonito ed arrabbiato che spiega come può l’oltraggio ai suoi stessi figli e con tanto, tanto orrore, si adopera per rispondere come i filosofi agli interrogativi dell’arche, cioè a quell’origine o principio, che è l’inizio e ne è certo la causa di tanto indicibile male.

Ma sempre aperti restano i dubbi e le risposte vaghe o forse sempre ancor di più afone come sempre in questi casi, s’intonano con misera efficacia, tutte le tristi litanie di nenie da troppo tempo in lutto. Avviene quando a bruciare sono i boschi, è come se si udisse un triste ed accorato pianto dell’anima degli alberi; perciò si dovrebbero commemorare la flora e fauna polverizzate, andate tutte letteralmente in cenere, le quali impiegheranno millenni lunghi e lenti, prima di potersi elevare al nuovo rango di bellezza paesaggistica naturale.

A questo funerale, partecipa l’alter-ego dell’anima del sud, quella che cerca invece di strappare e difendere alla morte, non solo la vita dei suoi boschi, come quella dei propri luoghi, come delle sue montagne nella sua storia, pensando a tracce, scarti, frammenti, polvere e cenere, alle rovine di quei paesaggi e di una certa geografia tutta meridionale, che nel suo stato attuale è veramente desolante.



Quel tale Eraclito di Efeso, (550 a.C./480 a.C. ca) secondo cui, il fuoco è stata un’entità che mutando resta simile, non immaginava che questo fuoco estivo potesse tanto nel Sud Italia nell’anno domini 2017, specie in Campania, Sicilia ed in Calabria; cioè in quelle cosiddette Regioni infelici per non avere mezzi aerei sufficienti, tali da poter intervenire allo spegnimento degli incendi.

Dicono sono le Regioni ad essere del tutto sguarnite di mezzi: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia, Umbria e Sicilia, a cui mancano elicotteri antincendio. Infatti interi territori sono costretti poveramente a mobilitarsi ed a evacuare alla meno peggio, decine e decine di ettari, in preda a fiamme assatanate, nella maggior parte dei casi sempre di natura dolosa.  

Il fuoco è avviluppatore: due vittime calabresi morti per asfissia mentre tentavano di avere ragione delle fiamme che devastavano case e terreni. Impietose telecamere che riprendevano i cittadini di San Pietro in Guarano mentre, aiutati da polizia, carabinieri e Croce rossa, abbandonavano le loro case in preda al panico, soffocavano l’aria non più tersa e cristallina.

Situazione tanto drammatica, quanto parossistica. E per fronteggiare un’emergenza per la quale si è mobilitato finanche l’esercito, udite, udite, 

sono operativi solo cinque elicotteri. Certo bisognerebbe far sapere ad Eraclito che invocava la forza del fuoco come principio primo, che la flotta aerea dello Stato Italiano che si accompagna alle flotte regionali con 16 Canadair e 12 elicotteri della Difesa, dislocati su 14 basi, contempla delle falle più grosse dei buchi di un corredo di groviera.

Sin anche al fondatore dell’ermeneutica contemporanea Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900, Heidelberg 2002), avremmo dovuto far sapere così pure come ai grandi  metafisici come Hegel, così attratti da Eraclito, e dal mistero dell’unità del molteplice, che ci si confonde spesso, pensando ai soli 32 elicotteri antincendio complessivi, del Corpo forestale dello stato in forze in questa emergenza,  28 velivoli dei quali non possono in alcun modo ancora alzarsi in volo per spegnere fiamme altissime, che divampano, divorano ed avviluppano. Giacché questa singolare armata di Elicotteri è inutilizzata anche in ragione dalla recente riforma Madia, la quale ha tagliato per così dire i viveri ai forestali, accorpando mezzi e personale ad altre forze dell’ordine. Gli elicotteri dei quali, sono stati divisi, 16 velivoli in dotazione all’Arma dei carabinieri e 16 al Corpo dei vigili del fuoco, che per mancanza di brevetti e adeguamento ai nuovi criteri imposti dalla legge, soltanto in quattro sono stati messi attualmente in volo. Parrebbe semplicemente perché ancora non sono stati riverniciati con la scritta del nuovo corpo di appartenenza.

Sarebbe in ogni modo anche interessante intrattenersi pure con gli amabili filosofi, per non tener da conto, che su circa ottomila forestali, 6.400 sono andati a rimpolpare l’organico dei carabinieri, 1.240 sono finiti a vari livelli nella pubblica amministrazione e solo 361 sono andati ai vigili del fuoco. Una sproporzione piuttosto evidente, aggravata dal fatto che le competenze proprio sugli incendi boschivi sono finite agli stessi vigili del fuoco, i quali sempre privi di mezzi e ancor più di organici, sono stati di fatto abbandonati dallo Stato che li generati per partenogenesi.

In questi giorni a sorvolare il Sud Italia per spegnere gli incendi che sono appiccati in ogni dove, sono per lo più i Canadair,  che specie in Sicilia, ma del resto anche in Calabria e altrove, hanno per lo più il costo di 14 mila euro l’ora e sono inoltre del tutto gestiti da privati, che (felicemente) sopperiscono per meri fini di lucro,  alla paralisi ordita nella macchina organizzativa dello stato; stante alla medesima situazione che riguarda anche tutti gli elicotteri utili per il salvataggio e la lotta agli incendi. Questo è il dato macroscopico di quanto accade oggi in questo paese strano detto stivale, in cui il suo mezzogiorno tanto “sfigato” è tanto isolato e sempre più abbandonato e lasciato inerme anche in balia delle proprie fiamme, sebbene ruggisca esattamente come un cucciolo che s’avvezza al gioco del massacro.

Magari chissà  qualche buon tempone avrà forse immaginato che le fiamme purificatrici, potessero almeno questo: estirpare esattamente alla radice il suo male antico quel problema cioè vecchio quanto il cucco, che oramai si ripropone identico e drammatico nelle proprie forme disperatissime, quasi ogni estate; e che forse una massaia o un mezzadro del primo ‘900,  determinerebbero con certo meno errori ed orrori, rispetto a quanti ne ha combinati quella cattiva inadempiente politica, che è stata e continua ad essere madre dei soliti ritardi e delle colpe nei confronti dei suoi beni pubblici, nelle amministrazioni locali.


A Sud dopo la soppressione dei forestali, esattamente nello scorso maggio con una nuova legge, le cui norme ancora non hanno visto luce, perché prive dei propri decreti attuativi nel numero di 15, (ancora inapprovati); tutto è più grigio e cupo nella cenere, anche dopo che le fiamme hanno arse le dorsali pedemontane ed appenniniche, ed hanno avviluppato anche nelle sporche coscienze, le responsabilità collettive. È quasi un girone dell’inferno Dantesco in queste ore l’Italia centromeridionale. Appare come quello in cui certi dannati degli ultimi tre cerchi dell’inferno, si rendono i più colpevoli di aver posto la malizia nelle loro cattive azioni: come accendere e dar fuoco e fiamme, ai boschi alle sterpaglie ed ai paesaggi antichi ed incontaminati ancora con la stessa mano armata che brandisce il cerino.

Tutti i “custodi” di questo inverecondo moderno cerchio di fuochi e fiamme, si identificano con un Minotauro mostruoso, che rappresenta la «matta bestialità», ovvero quella violenza che avvicina l’uomo agli esseri più meschini e bruti, più spregevoli, ben oltre l’orrore delle “bestie”.

Aver appiccato le scintille o alimentato l’imponderabile imprevisto della mano “umana” è roba da professionisti, giammai di improvvisati fuochisti dell’ultima ora, che attoniti saprebbero ritrovare nelle carcasse dei loro stessi animali divorati dalle fiamme, tutti gli spettri delle loro sporche coscienze, che li costringerebbero altresì almeno alla dannazione quasi eterna, di essersi resi violenti contro essi stessi, prima che con gli altri.

Un poco come quei suicidi preterintenzionali, che magari poi, e solo per la mitologia, verrebbero trasformati in alberi per pura legge del contrappasso, resa più improbabile la pena per un ripopolamento, ed averne altresì cagionato volontarietà a rinunciare alla natura umana, di custodi della morte, piuttosto che non di vita.

Tra gli Italiani i meridionali in queste circostanze appaiono come ombre, gravate dall’utopia disincantata che si portano dentro, attraverso cioè una insana forma malinconica di parca speranza, che magari vorrebbe ritrovare esattamente proprio in quelle proprie sacre ceneri, per provare anche a far risorgere quell’araba fenice, tanto improbabile e vaga, che magari potrebbe riscattarli tutti, e saprebbe anche come renderli felici.

In fin dei conti forse a meglio riscattarli, non è dunque solo quello strano uccello piumato, connesso alla ciclicità della vita, come morte e resurrezione quindi come eternità dello spirito; ma potrebbero esserlo piuttosto quelle  salamandre cioè quelle creature più prossime agli esseri umani, sia come sostanza pensante del fuoco, sia come unicum capace di sviluppare il principio invisibile dell’Io identitario, che invece occorrerebbe piuttosto definire  per tutti i meridionali, che numerosi ne restano ancora sprovvisti. 

La verità della questione è forse anche quella che ad onor del vero considera la misura di un buco di organico in forze all’anti incendio, di circa 3.500 unità rispetto a quanto previsto, che assicura cioè un servizio del tutto scadente e quasi inconcludente, circa le complesse problematiche dei fuochi. Varrebbe a dire che quasi ogni 15mila abitanti, cioè ben al di sotto della media europea, si accresce e giganteggia il rischio che possa più facilmente accadere un nuovo focolaio, a cui si sarebbe soliti assistere impotenti, senza cioè poter fronteggiare una qualunque grave evenienza, sui gradi dell'unità in scala di misura della temperatura. La domanda corretta allora è dunque la seguente: perché Non sfruttare” adeguatamente gli ex forestali per rimpolpare, senza costi aggiuntivi, gli organici?

In verità credo che operai della Forestale, pastori e allevatori non abbiano nulla da guadagnare dal fuoco; forse con ogni probabilità ad avere possibili interessi dalle fiamme sono piuttosto altri soggetti, interessati ai grassi e grossi appetiti, con interventi previsti per la ricostituzione delle aree verdi, ed in fin dei conti anche per il grande giro di affari su elicotteri e Canadair. Ma è risaputo finanche che a queste latitudini, siamo facili prede di quelle creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, quelle stesse arpie che nell’Eneide profetizzavano ai troiani più fame e sciagure; e per i meridionali di oggi, più povertà e desolazione intrepide per lunghi ancora anni da venire.


Se piuttosto che i boschi, e la salvaguardia delle aree paesaggistiche, si preferiscono gli orribili scialacquatori, e gli indisturbati ladri che distruggono e dilaniano le “sostanze” cioè quei patrimoni naturali ricchissimi, senza esserne lacerati come da “cagne fameliche” con la stessa medesima ferocia; allora il grado di trasfigurazione dello sciagurato popolo meridionale sarà inevitabilmente smarrito per sempre. Nessun altro riscatto sarà più possibile.

Del resto noialtri si perdona tutto, finanche il più devastante deserto di fuoco, di fiamme e cenere che improvvide amministrazioni scellerate, che magari immaginano di “abbellire” con meschini Km di pale eoliche, “piantate” magari sia pure ben mimetizzate, per smerllettare gli scempi e ripianare i debiti di pubbliche amministrazioni trafitte dagli strali dei debiti.

E lo stesso delitto al territorio, il ratto e la rapina, si perpetuano silenziosi e tristi, come la mancanza di acque e di prevenzione oculata dei territori erosi e corrosi, nel cancro di società omertose e complici, di organizzazioni del malaffare, che avvelenano acque, terre, fiumi, laghi, del tutto indisturbati e famelici, vampiri del nostro stesso sangue vivo.

Del resto poi si sa, c’è chi non solo non ha misura nel gestire il proprio patrimonio, ma riesce con egual ferocia ad infierire su quello degli altri, distruggendo attraverso le proprie sostanze, in una caccia infernale, contro le altrui bellezze naturali di ognuno.

E poi saremmo anche capaci di riversare i mali e le colpe della comunità, sugli operai della Forestale si sente spesso dire “non fanno niente” omettendo di ricordare, che in genere questa categoria s’avvia al lavoro magari proprio in giugno, senza che le necessarie opere di prevenzione degli incendi siano state effettuate per tempo, cioè senza la ripulitura delle erbe secche e delle sterpaglie.

Ora se è vero che le relazioni, cambiano sovente le morfologie dell’abitare, del vivere nel senso stesso dei luoghi, allora resta incontrovertibile che ferite così, che sono tanto lente, lentissime a sparire, sono il manifestarsi di cancro devastante.

È pur vero che ciò che appartiene al tempo, trascorso o vissuto, può sempre essere riscattato, anche oltre le cesure e le discontinuità di un mondo carsico di potenzialità sommerse, e in un paese come l’Italia meridionale, che come è noto non è per nulla capace di esprimere potenzialità diverse, se non per le incompiute,suscettibili” magari auspicabilmente di incontrovertibili realizzazioni a doppio binario.

L’Italia intera brucia, e con essa non solo il suo desolato mezzogiorno.

Vuoti di cenere e ombre, di un morire lento ed asfissiante di un paese, che non riesce nemmeno a concepire il patrimonio naturalistico oltre che quello culturale, come il volano preziosissimo del suo miglior sviluppo. 
Dunque una scintilla in un regno buio ed oscuro nel quale si accusa il male di vivere. Qui l’aria è sempre densa, e quando riecheggiano voci, rumori e frastuoni, anche quei suoni inerti e le specie faunistiche dilaniate, dei paesi di quel centro-Sud in fiamme, sempre più abbandonato al proprio destino, gridano vendetta.  Magari sarà anche possibile pensare tracce, scarti, frammenti, rovine, paesaggi come una geografia a tutti gli effetti di un presente dissennato e dissoluto, ma oltre le ombre, gravate dall’utopia disincantata di un pessimismo assoluto, si dovrebbero portare dentro le colpe politiche ed amministrative verso queste terre, colpe ancora tutte da espiare.  Non basteranno perciò le forme malinconiche, oppure quelle agguerrite e prive della speranza, a ristabilire il riscatto.

I pompieri - ad esempio - sono il corpo meno pagato in Italia: gli stessi forestali percepiscono in media circa 700 euro in più al mese rispetto a un vigile del fuoco. Tanto che a tutt’oggi i 361 ex forestali prendono un’indennità diversa rispetto ai vigili. Insomma, il dubbio è che per evitare squilibri troppo evidenti e il rischio di dover poi alzare le indennità a tutti i vigili del fuoco, si sia preferito scegliere un’altra strada e un’altra destinazione.

In fin dei conti però se non bastasse, vi è sempre un altro modo per colmare il gap di organico in questo settore, come ed esempio poter attingere alla lista di tremila idonei di un concorso svolto nel 2010 che da anni in molti attendono invano possa tornare ad assumere.



Peccato che, al di là di mille promesse, nulla sia stato finora fatto, più dei proclami vuoti ed asfittici. Perciò accanto ai ritardi nazionali, regionali magari anche locali, restano sempre le responsabilità di una politica inconcludente e meschina che è ad esempio incapace e lenta nell’approvare il Piano antincendio boschivo (Aib) 2017 e dunque le relative modalità attuative per organizzare la prevenzione, il lavoro a terra e gli accordi con i vigili del fuoco e con la Protezione civile. La conseguenza è che gli operatori lavorano senza direttive ed esposti a turni massacranti, come in qualsiasi situazione emergenziale, in cui il paese è da sempre campione.  Mobilitare l’esercito nelle zone roventi, espone al rischio di mandare persone impreparate, prive di competenze specifiche, come quelle in forze proprio ad esempio all’antincendio boschivo. Mentre i cosiddetti discontinui cioè quei precari dei vigili del fuoco, i quali potrebbero tornare utili ed essere chiamati al servizio vista l’emergenza, sono ritardati perché non è stata siglata alcuna convenzione con le Regioni.

Tutto questo mentre il fuoco continua a divorare qualcosa come ettari ed ettari di boschi e verde dello stivale. Vorrei dunque esser io stessa foco per avviluppare gli stolti e ridurli in cenere, magari natura” e principioarchè e physis, potrebbero proprio coincidere, giacché la natura non è mai statica, ma altresì dinamica, e come tale è una forza, è la forza che genera ogni cosa, compresi gli esseri viventi, che muovono sempre il tutto.

Le mafie utilizzano l'alfabeto dei simboli, lanciano messaggi più o meno cifrati, più o meno comprensibili anche a noi altri, per ricordare che nei territori loro sono certe autorità di riferimento, affatto affrancate da certa dittatura criminale, che lottizza certe opportunità di terre sulle quali edificare oppure magari cominciare palificare nel mito maldestro dell’energia eolica. Allora, porre e riproporre per tutti la questione meridionale sarà sempre sempre meglio che negarla, giacché gli speculatori non ci privano soltanto di un bene che è il paesaggio italiano, avvelenano e minacciano la nostra salute e vita, ma distruggono e depauperano, la nostra stessa identità.

Amerei dunque ci fossero eserciti pacifici di meridionali che sappiano porre  domande, proprio perché  vivono sui crinali infuocati in cui da una parte si hanno aspettative, che il fuoco riesca a poter fare “pulizia di tutto il male e dell’orrore in corso” che si continua a subire ancora in queste aree; e dall’altra qualcosa di diverso, di nuovo, forse più banalmente una nuova strada da percorrere esattamente direzione onestà, per far spiccare il volo ad nuova araba fenice che deve risorgere dalle sue stesse ceneri.