mercoledì 13 giugno 2018

Todo Modo: La Censura che risparmia i Corvi e NON tormenta le Colombe


di Angela Maria Spina  


                                                              
    È dunque verso l’aria che spiego sicure le mie ali.  
Non temo alcun ostacolo, né di cristallo, né di vetro: fendo i cieli e mi ergo verso l’infinito. E mentre da questo globo mi elevo verso altri cieli e penetro oltre attraverso il campo etereo, lascio dietro di me ciò che altri vedono da lontano.                               
  Giordano Bruno, De l’infinito, universo e mondi.

Questa mia è dovuta a quanti hanno letto un mio ormai non più recente scritto datato 29 marzo 2018  “Mutazione totalitaria con le tare della società liquida postmoderna, applicate al femminile”  - Onore e Dignità della Donna Meridionale - Arena e Donne due rette parallele - a cui  in data 7 giugno 2018 sono stati apposti due squallidi e beceri commenti del tutto deliranti, inviati parrebbe dagli esimi Proff. L.M. Lombardi Satriani e D. Scafoglio.

Si sperava tali commenti fossero resi per controbattere alla sostanza della mia argomentazione, che potrete comunque rinfrescare al seguente link 

http://www.ferrarosalvatore54.com/2018/03/onore-e-dignita-della-donna-meridionale.html

Invece dall’alto della loro edotta scienza e nell’eloquio dell’inconsistenza, hanno inteso scadere di tono e di misura, a solo beneficio del mio sberleffo per la calunnia e pure la diffamazione sulla mia persona.

Da una delle lezioni del mio miglior investimento culturale (nel quale giovinetta mi imbattei come volenterosa e non poco promettente studentessa di filosofia, in anni ohimè ormai non più troppo recenti) appresi e fui nutrita del nettare di quel cotanto grande filosofo messer Giordano Bruno; Lui sì - fu vera illuminazione -  della mia formazione, quel monaco detto il Nolano pregiato  “accademico di nulla accademia” che ebbe il vero merito di darmi una vera grande lezione nel farmi ben comprendere, tutta l’importanza della invereconda asinità; della follia del mondo; e della vanesia negazione del buon senso e della razionalità.  

E dunque anche per queste contrite circostanze, per l’accumulo e l’aggravio proprio della boria di certi cattedratici pedanti, evoco questo mio faro, che tanto inviso aveva la pletora insignificante dei boriosi, per “profumarmi” in cotanto letame.
Dei nominati Frulla, Poliimnio, Prudenzio, e dei Manfurio, ovvero di tutti quei popolari personaggi-maschere bruniane, che oggi più di ieri impersonano laide o fulgide memorie letterarie, mi pare di ravvisare nei tratti in - una attualità presente disarmante - la mia recente storia, con tutte le inique banalità del discredito, inanellate per arrecarmi danno, attraverso due commenti comunque “deliziosi” che sul proscenio dell’ilarità nel mio divertimento, mi fanno apparecchiare una dovuta mia risposta ad entrambi; ad esclusivo beneficio di quanti avranno la pazienza di seguirne l’epilogo finale.

Quelle affermazioni contro la mia persona, non sono solo cagionevoli che di giustificata causa di senescenza, quanto dell’insensata opportunità, di chi le ha redatte e scritte, scegliendo di darsi tante, troppe arie, di edotti cattedratici, per scivolare fuori misura nella boria arrogante e sciocca, della sconsiderata offesa personale, imputabile, solo ad una indefinita spudoratezza “senile-fanciullesca” che della finzione rende solo vertiginoso l’illusionismo verbale e l’iperbole senza complessi o forse solo il trucco furfantesco ed offensivo.

Palesemente riconoscibile un tratto della penna, molto preoccupato ed adirato, da quanto io scrivo con totale disappunto. Per questo i luminari scelgono di sottrarsi ad un civile e franco dibattimento, argomentato con i miei stessi toni, di contenuti su dei contenuti, smarrendo così del tutto il senno e la lucidità del caso. 

E datosi che anch’io sono oramai un’attempata vecchia signora, di una certa veneranda età, la quale a ben guardare sa destreggiarsi alla meno peggio anch’Ella con i suoi poveri strumenti del non banale eloquio - che è dimostrato -  non è solo patrimonio esclusivo dei cattedratici, ma anche talvolta di noi altri poveri meschini; scelgo non altra via che questa nuova mia disamina in tratto di penna, per beffeggiare nella circostanza, la risma dei miei non certo benevoli detrattori; con l’ “Acescenza cattedratica" che preferirei veder piuttosto evaporare.

Faccio ammenda e puntualizzo, di non esser nemmeno titolata quanto lor signori, che pur scrivono di me senza conoscermi, non avendo neanche bene letto tutto ciò che ho scritto e prodotto e omettono dolosamente di rappresentare quello che io ho invece decisamente argomentato.  
Le mie “povere” analisi difatti, che riflettono anche un mio stile certo non minimalista, ma piuttosto sostanziale, non certamente scevro da sbavature sentimentali ed orpelli retorici, al tempo hanno portato e continuano a portare, un sì tale grande fastidio, sin anche in personaggi tanto memorabili della loro stazza, come portatori insani di disvalori di ingiustizia ed irrazionalità. 

Tanto da contestarmi di essere:  

«totalmente estranea al mondo della ricerca scientifica, non ha dimostrato in alcun modo di avere una formazione professionale in tal senso, non avendo mai pubblicato un suo libro, avendo solo investito, a parte l’insegnamento scolastico, il suo tempo nella presentazione in Acri di libri altrui e non essendosi mai sottoposta a nessuno dei tre livelli di concorsi accademici, che legittimano il possesso di abilità e attitudini alla ricerca e quindi la capacità di esprimere giudizi su prodotti scientifici.» (cit.)

Ben al di sopra delle righe e fuori dalle care pagine dei libri stampati - perché quelle sono dei titolati, ed io risulto certamente di nulla accademia - nella sensatezza e non nel delirio - dei cattedratici senescenti, rendo allora giustizia ad una cosa sola: all’ignavia intellettuale e morale perpetrata contro di me.

Sarei stata finanche qualificata come “irriverente” proprio perché non titolata a poter esprimere un mio giudizio, io portatrice sana solo della mia coscienza laica. Repellente a certa morale ipocrita del perbenismo acritico, che proprio con la mia scrittura - e solo con quella - brandisco l’arma della penna, che è modo e atto solo della mia conoscenza, meschina più di certa mia esperienza, con la corrosività sarcastica, che mi rende abile solo di indagare a fondo alle trame oscure di uno strapotere marcio fino al midollo.
 
Ora devo precisare, di essere ben lieta che dopo diversi mesi, i cattedratici di cui ho fatto menzione nel mio argomentare, abbiano sentito il bisogno di ribattere “tempestivamente” alle obiezioni, solo con offese alla mia persona, sebbene le abbiano prodotte con claudicanti ed insicure invettive, a cui però, pur mi delizia ribattere, col guizzo e la sagacia solo dei miei toni divertiti.

Mi appresto allora a chiarire, ma non prima, di aver reso loro un mio “irriverente” inchino, non fosse altro per aver fatto loro interrompere l’ozio dorato della propria senescenza, rapsodicamente attratta nel vortice dell’unidimensionalità del polo speculare non dell'asinità positiva (come dovrebbe aversi della fatica, dell’umiltà e della tolleranza) ma piuttosto della asinità negativa, cioè di quella soggezione a dovere obbedire e credere solo alle “teste unte” e “coronate” con insana rendicontazione. E fagocitare per essa il contenuto nella pedanteria della regola che espropria i fatti e le cose ridefinendole nella vertigine delle possibilità combinatorie di significato e di significante, col potente narcotico del dominio delle coscienze, ed il mantenimento del potere attraverso l’ottusità della “fede asinina” - da asino fidente a individuo (in)cosciente - per il disvelamento delle falsità degli assoluti, che fa sì che il raglio dell’asino possa divenire grido, panico, che tiene lontani solo i nemici della vera (non)conoscenza. 

Impietosa ed impenitente quale certamente io so ben risultare, sarò dunque incorsa nel mitico discredito che intende colpirmi forse come temibile avversaria o solo come delirante signora?  Ma non temete. Io sono avvezza solo a scrivere pamphlets e articoletti, dedicati a povere meschine cose, non certo scrivo - né ho giammai scritto - di straordinari tomi di demo antropologia o critica letteraria, ricchi dell’iperbole dell’acutezza e dell’eleganza; scrivo solo di grovigli inquietanti di certa realtà culturale a cui sono assai prossima, nel mio lucido rigore razionale.

Or bene, ma forse dovrei render conto ai ribaldi, anche della mia coscienza e del mio libero pensiero, quasi fosse il gioco amplificabile all'infinito delle simulazioni e delle falsità contro la mia persona, prodotte senza vergogna né ritegno alcuno? 

Certo le Libere opinioni circostanziate, danno più forza ed in parte generano fastidio, proprio quando sono senza limitazioni ed indisponibili quali si rivelano di contro alle complicità come allo strapotere ed alla vigliaccheria solo dei più vili mentecatti.

E pur volendo io restare ben al di sotto degli stessi toni che mi sono stati usati, dacché io sono Signora e non già cattedratica, quale io mi fregio proprio di non essere, meglio di costoro; mi accingo a deferire con divertimento solo della santa asinità.

Certi personaggi della loro risma, sono riconoscibili perché titolati solo delle loro affermazioni, che li qualificano in autodafé - non solo come non filosofi o illetterati -  nelle sterili invettive  di uomini meschini,  che certo ignorano (o fanno finta d’ignorare) quanto sia rischioso e di cattivo gusto, rivolgersi a certe vecchie signore con questi toni. 

Magari credendo di riuscire a ribaltare il coraggio di pensare, scrivere e parlare, con l'insensatezza di certe affermazioni false e tendenziose, i “coltissimi uomini di cultura” di cui nessuno però scorge il fondo per via del giganteggiante ego e dello spropositato carisma solo apparente (da non dover essere messo giammai in discussione in alcun modo) si sentono per questo più  sicuri di tenere sotto scacco, anche la femmina, ribalda e lucida, cioè la vecchia signora, che è perciò ancora più lieta, di controbattere ai pedantismi con vanto, solo perché diversa e propriamente non gradita come moraleggiante.


La pedanteria, scriveva Bruno nella “Cabala del cavallo Pegaseo” è solo l’effetto della fede asinina. 


Perché allora ci sono tanti asini? E perché quelli che ancora non lo sono sembra che si prodighino a diventarlo?  

Ebbene questo era e resta un arcano misterioso: inesplicabile. Magari perché tutti possano comprendere, rappresentare e poi descrive, le metamorfosi proprio di questo inasinamento imperante e sempre più drammaticamente trasversale:

«Fermaro i passi, piegaro e dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovaro qualsiasi uman pensiero, riniegaro ogni sentimento naturale, ed infine si tennero asini. E quei che non erano, si trasformaro in questo animale: alzaro, distesero, acuminaro, ingrossaro e magnificorno l’orecchie, e tutte le potenze de l’anima riportorno e uniro nell’udire, con ascoltare e solamente credere». (G.B.)

Certo, la fede spropositata nelle proprie esagerate facoltà dell’intelletto e nella propria scienza edotta, può essere sovente causa del delirio dell'imbecillità più rude, così come della deiscenza e decadenza della corruzione della società.

Perciò rivaluto l’importanza del voler dare da conto, dell’antica lezione sui sileni, quelli per intenderci di Erasmo; per provare magari ad andare ben oltre la rozza e sciatta immagine che pur di me essi hanno inteso voler dare, rappresentandomi solo con due commenti su di un convegno del quale mi sono presa briga di dar conto.

Ben inteso, il richiamo agli asini che si ricollega come dicevo alla duplice natura dei Sileni: mi serve per chiarire quanto sia pur necessario andare oltre la rozza immagine esteriore dell'asinità, per conoscere i “tesori” in essa gelosamente custoditi e tutta la “bellezza” di certa asinità, di certa (in)cultura di cui però non sempre è bene dare troppo sfoggio. 

Nel gioco dei rovesciamenti, in cui doveva essere possibile ripercorrere i temi da me argomentati tono su tono, che invece sono rimasti orfani del sensato e sano contraddittorio dei desiderata, la delusione è resa smisurata.

 Ciò detto però, senza tener da conto come a volermi affannare ecco allora che mi accingo a disquisire con miglior e più chiaro eloquio non solo per costoro; ma anche a pieno beneficio della correttezza che mi si conviene e della mia onestà intellettuale; solo con la capacità del mio libero pensiero; grata per gli spazi sin qui avuti e riconoscente verso i pazienti lettori.

Ed IO Signora di nulla accademia come già detto, certo più del mio vero maestro quel tale nolano, mi appresto così a disquisire elementarmente con le citazioni tratte dai commenti che riporterò TUTTE in grassetto e ben in evidenza, a solo vantaggio di chi si diletterà a trarre le debite conclusioni:

«Davanti alla follia di chi parla fingendo di avere ascoltato, contesta senza argomentare, aggredisce senza ragione e offende senza misura e ritegno, inventandosi per oscure ragioni un nemico germogliato dalle proprie piaghe e dalle proprie inconfessate inadeguatezze e paure, la migliore risposta è ignorare tutto, affidando al codice il compito di fare giustizia dell’insolenza dello spudorato aggressore».  (cit..)

Or bene allora, a quale codice si appellano i cattedratici? 

Forse al coraggio di dire sempre quello che io penso e sono abituata a saper bene argomentare, oppure all’avversità per il mio giudicare? 

Chi mi conosce e magari - mi avrà letta per comprendermi più e meglio di lor signori titolati -  sa bene che non sono mai stata né amo stare sotto l’imperio di alcun “prete” né amo alcuna incerta risalita sulla “Zattera della medusa” che pure da Théodore Géricault venne magistralmente rappresenta; né amo complicità con alcun diavolo che  porta occhiali a pince-nez esattamente solo per spartire con la cremè della cremè dell’ intellighenzia travagliata dalle lotte intestine e dalla meschina sete di potere, alcuna cosa affine con la mia persona. 

La bizzarra recita di certi inconcludenti atti convegnistici da cui sempre con estrema umiltà e volenterosa attesa non mi sottraggo ancora, non sono che il pretesto per una valutazione pessimistica, sul becero livello culturalmente oramai squalificato e miserrimamente impersonato da certi indegni pupi ormai ostaggio solo di loro stessi; quasi tutti sileni arroganti e avidi, cinici sovrani del pressapochismo, indegni finanche della propria aggettivazione sostanziale.

Del resto il vuoto politico che caratterizza il Paese attraverso una pletora di viziosi e meschini uomini ”d'onore” fa realmente toccare con mano quell’intreccio perverso tra politica e cultura, gerarchie e potentati inconcludentemente “culturali” magistralmente interpretati in caso di specie che per riflesso specchiano ogni vera storia qui rappresentata.

Oppure si ricorre e mi si contesta contro al coraggio di essere coerente con le conclusioni del proprio personale (mio) libero Pensiero?

Dabbene la “santa asinità” dell’ascolto passivo della mia parola, contro l’azione della mia scrittura, che non scalfisce alcun ciclo negativo, né ha permesso né permetterebbe di rivalutare errori, inciampi o clamorose e meschine figure, solo attraverso delle semplici parole, non fà però ben comprendere certa ostilità svalutativa della mia persona. 
Su quali basi? Per partito preso? Oppure solamente per le mancate nostre frequentazioni in seno alla Fondazione? 

E’ vero della Fondazione Padula ne sono diventata mio malgrado vice presidente, strana e bizzarra carica tanto banale quanto inconcludente, come volermi rappresentare a presenziare anche alla presentazione di libri altrui; carica ed incarichi ricoperti - sia chiaro -  non già per vanagloria personale, né per poter incamerare meriti indebiti alla mia “bassa” levatura; ma per puntualizzare in seno al C.d.A. (i cui compiti e le funzioni sono ben chiari e son tutti demandati al chiarissimo ed eminente presidente della fondazione Prof. Cristofaro) e per assolvere ad un precipuo compito etico e morale di sano volontariato culturale - delle mie pur umili e meschine competenze - quelle sì titolate -  ma solo nella pubblica istruzione da poco più di un quarto di secolo e con chiara fama. 

Ho dunque inteso così solo prestarmi al beneficio del mio dovere, di rappresentare a titolo gratuito la mia città e dei miei concittadini, con il baglio delle competenze ascritte alla mia sola esperienza professionale ed umana di docente del pubblico sistema dell’educazione. Altro non voglio/posso spendere.

 Sui titoli precisi e sui concorsi alla mia nomina, non credo fossero ascritti né la chiara fama di cattedratico e nemmeno quella di laureato o diplomato  e questo basta, anzi parebbe giunta l’ora di far rivedere anche quelle.

Circa poi 

 «(…) i resoconti delle attività, (della Fondazione) come premi, tra cui un Premio di cui lei stessa è animatrice, il Premio Padula (di discutibile utilità, dal momento che Padula è presente esclusivamente nella denominazione del premio), e di eventi culturali come presentazioni di libri, normalmente gestiti da lei stessa, con tutti i riferimenti economici mai resi pubblici (…) I cui cittadini di Acri avrebbero così preso atto della nostra estraneità totale a questa storia di interminabili chiacchierate accompagnate da un’incessante dissipazione di denaro pubblico.» (cit.)

Come già ribadito, rimando al ruolo che non è mio, ma è del Presidente stesso della fondazione. La mia nomina di vice-presidente nella Fondazione della città di Acri, lo ribadisco tra Retorica, Finzione e non poche Incertezze, ha rappresentato un onere e non già un onore, di chi cioè riesce bene a distinguere tra il ruolo da assolvere e la sua più alta funzione civile al servizio degli ambiti culturali, già di per sé difficili da rappresentare. 

Lavorare per promuovere cultura nell’interesse e nella difesa della collettività cui apparteniamo io e la Fondazione, alla quale io stessa ho dato vita, come assessore alla cultura nel 1998, fatto salvo l’onore e la mia dignità, mi ha imposto sempre di farmi assolvere ad un profondo senso di giustizia e di limpida trasparenza soprattutto della mia coscienza e poi del mio operato. 

Anche quando sono stata svilita e mortificata in asfittici ed autoreferenziali circostanze, io son rimasta malgrado tutto a “presenziare” delirando proprio con i miei libelli, della funzione critica, dall’alto senso etico dell’istituzione e della qualifica della mia persona.

Sebbene contro i docenti stessi ad armarsi siano qui ora proprio altri docenti dall’aria non propriamente cattedratica; nobilitata ex adiuvantibus  per completare il quadro del degrado e del livello di mediocrità raggiunto da quei  commenti,  mi ergo anch’io - ma non avrei voluto - a paladina della titolata moralità, facendo notare quanto dall’arroganza dei cattedratici si riesca sempre a poter affermare, l’immagine contrita che è pari quasi sempre alla tela del ragno, quella torbida ed insulsa, da cui nascono sovente stroncature, stavolta alla persona e non ai contenuti.

Come allora non indirizzare eguale pochezza, che Sciascia stesso indirizzò a «Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: cioè alla classe dirigente; la quale (che cosa) dirige (?) solo una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela, anche se di filo d’oro».

Mi si accusa di essere “Ignorante e bugiarda” (cit.) or bene sono orgogliosa e fiera, anzi grata di potere dare anche qui prova per l’occasione, in tutto il mio fulgore, di incolta e dignitosa testa pensante non prezzolata.

Ma un attimo prima di aver fissato la becera asinità pedante dei cattedratici miei interlocutori, che pur se eruditi assai più di me, mi condannano inappellabilmente, alla mia immodesta e sfrontata umanità minore, di dovere una risposta in fil di lama né di “gregge”  né di “asino”  e nemmeno di “pulcino” o forse di “pulledro”.
  
E’ vero mi fregio di esser semplice Signora, titolata all’esercizio della professione di docente col solo beneficio di pubblici concorsi, dall’alto servigio reso alla pubblica istruzione, prima che alla dignità di Persona che si è liberata di certa perenne minorità: magari prioritariamente quella dell’insensibilità.

Ciò che non ho allora proprio bisogno più di comprendere (con la mia edotta laurea né col mio diploma) che vale (al pari se non di più) di ogni migliore “dotta (e sacra) ignoranza”  che quella dei pedanti cattedratici  miei interlocutori e di tutti i poveri Fanfulla della cultura è che - al cattivo gusto non vi è proprio mai fine -  se si perde il senno e la misura.

IO NON sono MAI stata bisognosa di padrini, né come studentessa, né come docente né come intellettuale e NON ho padri protettori o padreterni, che mi restano tanto più speciosi quanto più sono assoluti. Sono repellente sin anche alla “intelligentissima stupidità” perché ho bene digerito ormai da tempo che come donna necessito di strumenti ben più consistenti, per dovermi confrontare alla pari con guitti poveri e pseudo acculturati.  
 
Del resto l’umanità meridionale a cui appartengo è ancora prostrata ed in ginocchio nella speranza del miracolo e delle intercessioni degli unti del signore, che nelle simoniache alleanze “acculturate" degli accademici di certe meschine cattedrali, sguazzano indisturbatamente nella melassa e nella melma delle titolazioni “ad hoc” proprio con la nutrita pletora di pedanti ignoranti e di asini obbedienti, a cui mi fregio di non voler  appartenere, per non  «guidare con la lanterna della fede, cattivando (imprigionando) l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addrizza e guida» - Cabala del Cavallo Pegaseo - (G.B.) 

Pertanto mi limito soltanto a ragionare tentando anche di trasformare in azione, ciò che scrivo, perché amo guardare alla liberazione del pensiero e non alla sottomissione intellettuale che è resa anche dal fastidio del monogramma esistenziale cattedratico.

«la Signora presentatrice di libri altrui ha cercato di formulare sulle nostre relazioni, che in parte non ha deliberatamente ascoltato, per una forma etologica di rifiuto dell’estraneo e del potenziale “nemico” (essendo maleducatamente impegnata a chiacchierare con altri durante tutta la durata delle tre relazioni), e in parte non ha capito per mancanza di riferimenti culturali specifici: la poco gentile signora insegna, non so con quale titolo, nelle scuole medie superiori, è totalmente estranea al mondo della ricerca scientifica, non ha dimostrato in alcun modo di avere una formazione professionale in tal senso, non avendo mai pubblicato un suo libro, avendo solo investito, a parte l’insegnamento scolastico, il suo tempo nella presentazione in Acri di libri altrui e non essendosi mai sottoposta a nessuno dei tre livelli di concorsi accademici, che legittimano il possesso di abilità e attitudini alla ricerca e quindi la capacità di esprimere giudizi su prodotti scientifici» (cit.)

Io sono donna che non subisce il mondo, ma vive nel mondo e incide per come può col proprio mondo, in cui ho scelto di vivere dignitosamente la mia vocazione. E non vi faccia specie, non vivo alcuna frustrazione; bene educata come io sono stata dalla mia famiglia, ai sani valori della correttezza e del timore giammai dovuto solo perché reverenziale. E’ vero senza il demone del fastidio contro il conforme ed il fideistico, sin anche un buon provvido filosofo non potrebbe maturare alcuna rivoluzionaria trasformazione; ed è risaputo che io posseggo questa innata inclinazione al fastidio, per auspicare sempre una possibile altra nuova rivoluzione.

Non vivo pensiero che mi costringe a fare i conti con le piccolezze e le ristrettezze mentali, tanto da dover ricorrere di necessità a dover solo demonizzare l’avversario.

Ed anche quando non ammetto zone grigie, è forse solo perché il mio è un atto d’accusa contro l’opportunismo, la pavidità, la rassegnazione, che producono come scriveva Giordano Bruno il «servilismo che è corruzione contraria alla libertà e dignità umana» (De immenso et innumerabilibus).
 
Ciascuno è solo proprietario della propria vita e non deve Mai poter fare a meno di rivendicare la propria libertà; tanto più nell’etica della propria autonomia di dire e di pensare ciò che gli pare, con buona pace dei padroni dell’anima. 

«due son le mani per le quali è potente legare ogni legge, l’una è della giustizia, l’altra della possibilità… niente però è giusto che non sia possibile». G.B.  - Spaccio della Bestia trionfante -