lunedì 17 luglio 2017

Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda


C'erano una volta le Guardie Forestali




“Nur noch ein Gott kann uns helfen”.  M. Heidegger.

“Innalzo, invece, una preghiera all’imperfetta bellezza della Calabria ed alla sua antica dea, Afrodite. La imploro di continuare, come fa da secoli, a rigenerare le distruzioni, a risanare le ferite, a risollevare gli animi, a infondere fiducia, a creare speranza. Tutto il resto spetterebbe a noi. Ma sono certo che come sub-umani, geneticamente modificati dal consumismo, dall'edonismo, dall’ignoranza, dall’imprevidenza, dall'irresponsabilità, continueremo a far del male alla nostra casa e a noi stessi.” F. Bevilacqua

Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda
di Angela Maria Spina


Che il fuoco sia il primo dei 4 elementi fondamentali secondo le cosmogonie occidentali e le tradizioni sapienziali dell’antichità, è un dato ben noto ed acclarato a tanti. Ma che nell’estate del 2017 il fuoco potesse diventare uno degli elementi più devastanti del paese, non certo nell’accezione di energia e passione, era forse immaginabile. Il fuoco dunque, come punto cardine e metafora di un paese, specie nella sua cinta centromeridionale, che letteralmente si sta consumando tra le fiamme del proprio inferno, nel suo verosimile girone dantesco, da cui è quasi possibile scorgere simbolicamente un cartello: “Lasciate che si arda”.

Nelle zone in cui si elevano alte le fiamme ed i roghi infatti, si è trafitti ogni volta come quelle zanzare che fanno colare il sangue nutrendo la terra piena di vermi. Qui si rende possibile quel balzo metaforico pur sempre necessario, verso ciò che associa al genere umano di soli carnefici, che sanno sempre bene come annientare e distruggere la vita. Rappresentazione esagitata di un genere tutto maschile, che sa come piangere con lacrime asciutte di fieri uomini, invece che non quelle delle madri che versano lacrime amare per i figli infelici e tristi, defunti oppure randagi come cani nel mondo. Giovinezze disperse ed allontanate che oggi come ieri cercano asilo, ancora nelle nuove moderne americhe.

Quel fuoco è spaventoso ed orribile,  assimilabile all'elemento fecondante paterno, che mutua dal calore del cielo, il suo tentativo di operare una sterilità annichilente, quella cioè che non riesce ad essere feconda di un vero cambiamento e malgrado voglia, sa di non potersi unire all'elemento tutto femminile, di terra fertile concepita come archetipo, generato non come un giovane germoglio o essere vivente, che irrora e distilla trasformazioni e magari inviterebbe anche a berne al calice della propria sana prolificità. L’Italia centro meridionale combatte e si dimena come può, tra le fiamme alte ed i roghi, in cui solo alle salamandre, sarebbe dato sopravvivere, come nei rimandi letterari mitologici di creature alchemiche, che proprio perché considerate immortali e resistenti al fuoco, intessono quando possibile, poveri e miseri pensieri, quelli di disperati uomini perennemente in cerca anche storicamente sempre di un altrove, dove vivere meglio e bene, piuttosto che in quella loro propria terra amarissima, dove è più facile rincorrere vuote schegge e ombre di un abitare il sud che oramai da tempo è divenuto buio, afono di  suoni ormai del tutto muti ed inerti; specie nei tanti paesi minuscoli e piccoli, abbandonati ad un isolamento inesorabile, in cui solo il suono dell’emigrazione e dello spopolamento, echeggia altero e fiero.

C’è un Sud apparentemente perduto, che ancora cerca di capire il perché di tanto accanimento, di sì tanto scempio proprio col fuoco, quello che altresì nell’anima povera dei suoi contadini si sapeva sempre come trattare e rispettare, per tradizione antica.

C’è anche un Sud attonito ed arrabbiato che spiega come può l’oltraggio ai suoi stessi figli e con tanto, tanto orrore, si adopera per rispondere come i filosofi agli interrogativi dell’arche, cioè a quell’origine o principio, che è l’inizio e ne è certo la causa di tanto indicibile male.

Ma sempre aperti restano i dubbi e le risposte vaghe o forse sempre ancor di più afone come sempre in questi casi, s’intonano con misera efficacia, tutte le tristi litanie di nenie da troppo tempo in lutto. Avviene quando a bruciare sono i boschi, è come se si udisse un triste ed accorato pianto dell’anima degli alberi; perciò si dovrebbero commemorare la flora e fauna polverizzate, andate tutte letteralmente in cenere, le quali impiegheranno millenni lunghi e lenti, prima di potersi elevare al nuovo rango di bellezza paesaggistica naturale.

A questo funerale, partecipa l’alter-ego dell’anima del sud, quella che cerca invece di strappare e difendere alla morte, non solo la vita dei suoi boschi, come quella dei propri luoghi, come delle sue montagne nella sua storia, pensando a tracce, scarti, frammenti, polvere e cenere, alle rovine di quei paesaggi e di una certa geografia tutta meridionale, che nel suo stato attuale è veramente desolante.



Quel tale Eraclito di Efeso, (550 a.C./480 a.C. ca) secondo cui, il fuoco è stata un’entità che mutando resta simile, non immaginava che questo fuoco estivo potesse tanto nel Sud Italia nell’anno domini 2017, specie in Campania, Sicilia ed in Calabria; cioè in quelle cosiddette Regioni infelici per non avere mezzi aerei sufficienti, tali da poter intervenire allo spegnimento degli incendi.

Dicono sono le Regioni ad essere del tutto sguarnite di mezzi: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia, Umbria e Sicilia, a cui mancano elicotteri antincendio. Infatti interi territori sono costretti poveramente a mobilitarsi ed a evacuare alla meno peggio, decine e decine di ettari, in preda a fiamme assatanate, nella maggior parte dei casi sempre di natura dolosa.  

Il fuoco è avviluppatore: due vittime calabresi morti per asfissia mentre tentavano di avere ragione delle fiamme che devastavano case e terreni. Impietose telecamere che riprendevano i cittadini di San Pietro in Guarano mentre, aiutati da polizia, carabinieri e Croce rossa, abbandonavano le loro case in preda al panico, soffocavano l’aria non più tersa e cristallina.

Situazione tanto drammatica, quanto parossistica. E per fronteggiare un’emergenza per la quale si è mobilitato finanche l’esercito, udite, udite, 

sono operativi solo cinque elicotteri. Certo bisognerebbe far sapere ad Eraclito che invocava la forza del fuoco come principio primo, che la flotta aerea dello Stato Italiano che si accompagna alle flotte regionali con 16 Canadair e 12 elicotteri della Difesa, dislocati su 14 basi, contempla delle falle più grosse dei buchi di un corredo di groviera.

Sin anche al fondatore dell’ermeneutica contemporanea Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900, Heidelberg 2002), avremmo dovuto far sapere così pure come ai grandi  metafisici come Hegel, così attratti da Eraclito, e dal mistero dell’unità del molteplice, che ci si confonde spesso, pensando ai soli 32 elicotteri antincendio complessivi, del Corpo forestale dello stato in forze in questa emergenza,  28 velivoli dei quali non possono in alcun modo ancora alzarsi in volo per spegnere fiamme altissime, che divampano, divorano ed avviluppano. Giacché questa singolare armata di Elicotteri è inutilizzata anche in ragione dalla recente riforma Madia, la quale ha tagliato per così dire i viveri ai forestali, accorpando mezzi e personale ad altre forze dell’ordine. Gli elicotteri dei quali, sono stati divisi, 16 velivoli in dotazione all’Arma dei carabinieri e 16 al Corpo dei vigili del fuoco, che per mancanza di brevetti e adeguamento ai nuovi criteri imposti dalla legge, soltanto in quattro sono stati messi attualmente in volo. Parrebbe semplicemente perché ancora non sono stati riverniciati con la scritta del nuovo corpo di appartenenza.

Sarebbe in ogni modo anche interessante intrattenersi pure con gli amabili filosofi, per non tener da conto, che su circa ottomila forestali, 6.400 sono andati a rimpolpare l’organico dei carabinieri, 1.240 sono finiti a vari livelli nella pubblica amministrazione e solo 361 sono andati ai vigili del fuoco. Una sproporzione piuttosto evidente, aggravata dal fatto che le competenze proprio sugli incendi boschivi sono finite agli stessi vigili del fuoco, i quali sempre privi di mezzi e ancor più di organici, sono stati di fatto abbandonati dallo Stato che li generati per partenogenesi.

In questi giorni a sorvolare il Sud Italia per spegnere gli incendi che sono appiccati in ogni dove, sono per lo più i Canadair,  che specie in Sicilia, ma del resto anche in Calabria e altrove, hanno per lo più il costo di 14 mila euro l’ora e sono inoltre del tutto gestiti da privati, che (felicemente) sopperiscono per meri fini di lucro,  alla paralisi ordita nella macchina organizzativa dello stato; stante alla medesima situazione che riguarda anche tutti gli elicotteri utili per il salvataggio e la lotta agli incendi. Questo è il dato macroscopico di quanto accade oggi in questo paese strano detto stivale, in cui il suo mezzogiorno tanto “sfigato” è tanto isolato e sempre più abbandonato e lasciato inerme anche in balia delle proprie fiamme, sebbene ruggisca esattamente come un cucciolo che s’avvezza al gioco del massacro.

Magari chissà  qualche buon tempone avrà forse immaginato che le fiamme purificatrici, potessero almeno questo: estirpare esattamente alla radice il suo male antico quel problema cioè vecchio quanto il cucco, che oramai si ripropone identico e drammatico nelle proprie forme disperatissime, quasi ogni estate; e che forse una massaia o un mezzadro del primo ‘900,  determinerebbero con certo meno errori ed orrori, rispetto a quanti ne ha combinati quella cattiva inadempiente politica, che è stata e continua ad essere madre dei soliti ritardi e delle colpe nei confronti dei suoi beni pubblici, nelle amministrazioni locali.


A Sud dopo la soppressione dei forestali, esattamente nello scorso maggio con una nuova legge, le cui norme ancora non hanno visto luce, perché prive dei propri decreti attuativi nel numero di 15, (ancora inapprovati); tutto è più grigio e cupo nella cenere, anche dopo che le fiamme hanno arse le dorsali pedemontane ed appenniniche, ed hanno avviluppato anche nelle sporche coscienze, le responsabilità collettive. È quasi un girone dell’inferno Dantesco in queste ore l’Italia centromeridionale. Appare come quello in cui certi dannati degli ultimi tre cerchi dell’inferno, si rendono i più colpevoli di aver posto la malizia nelle loro cattive azioni: come accendere e dar fuoco e fiamme, ai boschi alle sterpaglie ed ai paesaggi antichi ed incontaminati ancora con la stessa mano armata che brandisce il cerino.

Tutti i “custodi” di questo inverecondo moderno cerchio di fuochi e fiamme, si identificano con un Minotauro mostruoso, che rappresenta la «matta bestialità», ovvero quella violenza che avvicina l’uomo agli esseri più meschini e bruti, più spregevoli, ben oltre l’orrore delle “bestie”.

Aver appiccato le scintille o alimentato l’imponderabile imprevisto della mano “umana” è roba da professionisti, giammai di improvvisati fuochisti dell’ultima ora, che attoniti saprebbero ritrovare nelle carcasse dei loro stessi animali divorati dalle fiamme, tutti gli spettri delle loro sporche coscienze, che li costringerebbero altresì almeno alla dannazione quasi eterna, di essersi resi violenti contro essi stessi, prima che con gli altri.

Un poco come quei suicidi preterintenzionali, che magari poi, e solo per la mitologia, verrebbero trasformati in alberi per pura legge del contrappasso, resa più improbabile la pena per un ripopolamento, ed averne altresì cagionato volontarietà a rinunciare alla natura umana, di custodi della morte, piuttosto che non di vita.

Tra gli Italiani i meridionali in queste circostanze appaiono come ombre, gravate dall’utopia disincantata che si portano dentro, attraverso cioè una insana forma malinconica di parca speranza, che magari vorrebbe ritrovare esattamente proprio in quelle proprie sacre ceneri, per provare anche a far risorgere quell’araba fenice, tanto improbabile e vaga, che magari potrebbe riscattarli tutti, e saprebbe anche come renderli felici.

In fin dei conti forse a meglio riscattarli, non è dunque solo quello strano uccello piumato, connesso alla ciclicità della vita, come morte e resurrezione quindi come eternità dello spirito; ma potrebbero esserlo piuttosto quelle  salamandre cioè quelle creature più prossime agli esseri umani, sia come sostanza pensante del fuoco, sia come unicum capace di sviluppare il principio invisibile dell’Io identitario, che invece occorrerebbe piuttosto definire  per tutti i meridionali, che numerosi ne restano ancora sprovvisti. 

La verità della questione è forse anche quella che ad onor del vero considera la misura di un buco di organico in forze all’anti incendio, di circa 3.500 unità rispetto a quanto previsto, che assicura cioè un servizio del tutto scadente e quasi inconcludente, circa le complesse problematiche dei fuochi. Varrebbe a dire che quasi ogni 15mila abitanti, cioè ben al di sotto della media europea, si accresce e giganteggia il rischio che possa più facilmente accadere un nuovo focolaio, a cui si sarebbe soliti assistere impotenti, senza cioè poter fronteggiare una qualunque grave evenienza, sui gradi dell'unità in scala di misura della temperatura. La domanda corretta allora è dunque la seguente: perché Non sfruttare” adeguatamente gli ex forestali per rimpolpare, senza costi aggiuntivi, gli organici?

In verità credo che operai della Forestale, pastori e allevatori non abbiano nulla da guadagnare dal fuoco; forse con ogni probabilità ad avere possibili interessi dalle fiamme sono piuttosto altri soggetti, interessati ai grassi e grossi appetiti, con interventi previsti per la ricostituzione delle aree verdi, ed in fin dei conti anche per il grande giro di affari su elicotteri e Canadair. Ma è risaputo finanche che a queste latitudini, siamo facili prede di quelle creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, quelle stesse arpie che nell’Eneide profetizzavano ai troiani più fame e sciagure; e per i meridionali di oggi, più povertà e desolazione intrepide per lunghi ancora anni da venire.


Se piuttosto che i boschi, e la salvaguardia delle aree paesaggistiche, si preferiscono gli orribili scialacquatori, e gli indisturbati ladri che distruggono e dilaniano le “sostanze” cioè quei patrimoni naturali ricchissimi, senza esserne lacerati come da “cagne fameliche” con la stessa medesima ferocia; allora il grado di trasfigurazione dello sciagurato popolo meridionale sarà inevitabilmente smarrito per sempre. Nessun altro riscatto sarà più possibile.

Del resto noialtri si perdona tutto, finanche il più devastante deserto di fuoco, di fiamme e cenere che improvvide amministrazioni scellerate, che magari immaginano di “abbellire” con meschini Km di pale eoliche, “piantate” magari sia pure ben mimetizzate, per smerllettare gli scempi e ripianare i debiti di pubbliche amministrazioni trafitte dagli strali dei debiti.

E lo stesso delitto al territorio, il ratto e la rapina, si perpetuano silenziosi e tristi, come la mancanza di acque e di prevenzione oculata dei territori erosi e corrosi, nel cancro di società omertose e complici, di organizzazioni del malaffare, che avvelenano acque, terre, fiumi, laghi, del tutto indisturbati e famelici, vampiri del nostro stesso sangue vivo.

Del resto poi si sa, c’è chi non solo non ha misura nel gestire il proprio patrimonio, ma riesce con egual ferocia ad infierire su quello degli altri, distruggendo attraverso le proprie sostanze, in una caccia infernale, contro le altrui bellezze naturali di ognuno.

E poi saremmo anche capaci di riversare i mali e le colpe della comunità, sugli operai della Forestale si sente spesso dire “non fanno niente” omettendo di ricordare, che in genere questa categoria s’avvia al lavoro magari proprio in giugno, senza che le necessarie opere di prevenzione degli incendi siano state effettuate per tempo, cioè senza la ripulitura delle erbe secche e delle sterpaglie.

Ora se è vero che le relazioni, cambiano sovente le morfologie dell’abitare, del vivere nel senso stesso dei luoghi, allora resta incontrovertibile che ferite così, che sono tanto lente, lentissime a sparire, sono il manifestarsi di cancro devastante.

È pur vero che ciò che appartiene al tempo, trascorso o vissuto, può sempre essere riscattato, anche oltre le cesure e le discontinuità di un mondo carsico di potenzialità sommerse, e in un paese come l’Italia meridionale, che come è noto non è per nulla capace di esprimere potenzialità diverse, se non per le incompiute,suscettibili” magari auspicabilmente di incontrovertibili realizzazioni a doppio binario.

L’Italia intera brucia, e con essa non solo il suo desolato mezzogiorno.

Vuoti di cenere e ombre, di un morire lento ed asfissiante di un paese, che non riesce nemmeno a concepire il patrimonio naturalistico oltre che quello culturale, come il volano preziosissimo del suo miglior sviluppo. 
Dunque una scintilla in un regno buio ed oscuro nel quale si accusa il male di vivere. Qui l’aria è sempre densa, e quando riecheggiano voci, rumori e frastuoni, anche quei suoni inerti e le specie faunistiche dilaniate, dei paesi di quel centro-Sud in fiamme, sempre più abbandonato al proprio destino, gridano vendetta.  Magari sarà anche possibile pensare tracce, scarti, frammenti, rovine, paesaggi come una geografia a tutti gli effetti di un presente dissennato e dissoluto, ma oltre le ombre, gravate dall’utopia disincantata di un pessimismo assoluto, si dovrebbero portare dentro le colpe politiche ed amministrative verso queste terre, colpe ancora tutte da espiare.  Non basteranno perciò le forme malinconiche, oppure quelle agguerrite e prive della speranza, a ristabilire il riscatto.

I pompieri - ad esempio - sono il corpo meno pagato in Italia: gli stessi forestali percepiscono in media circa 700 euro in più al mese rispetto a un vigile del fuoco. Tanto che a tutt’oggi i 361 ex forestali prendono un’indennità diversa rispetto ai vigili. Insomma, il dubbio è che per evitare squilibri troppo evidenti e il rischio di dover poi alzare le indennità a tutti i vigili del fuoco, si sia preferito scegliere un’altra strada e un’altra destinazione.

In fin dei conti però se non bastasse, vi è sempre un altro modo per colmare il gap di organico in questo settore, come ed esempio poter attingere alla lista di tremila idonei di un concorso svolto nel 2010 che da anni in molti attendono invano possa tornare ad assumere.



Peccato che, al di là di mille promesse, nulla sia stato finora fatto, più dei proclami vuoti ed asfittici. Perciò accanto ai ritardi nazionali, regionali magari anche locali, restano sempre le responsabilità di una politica inconcludente e meschina che è ad esempio incapace e lenta nell’approvare il Piano antincendio boschivo (Aib) 2017 e dunque le relative modalità attuative per organizzare la prevenzione, il lavoro a terra e gli accordi con i vigili del fuoco e con la Protezione civile. La conseguenza è che gli operatori lavorano senza direttive ed esposti a turni massacranti, come in qualsiasi situazione emergenziale, in cui il paese è da sempre campione.  Mobilitare l’esercito nelle zone roventi, espone al rischio di mandare persone impreparate, prive di competenze specifiche, come quelle in forze proprio ad esempio all’antincendio boschivo. Mentre i cosiddetti discontinui cioè quei precari dei vigili del fuoco, i quali potrebbero tornare utili ed essere chiamati al servizio vista l’emergenza, sono ritardati perché non è stata siglata alcuna convenzione con le Regioni.

Tutto questo mentre il fuoco continua a divorare qualcosa come ettari ed ettari di boschi e verde dello stivale. Vorrei dunque esser io stessa foco per avviluppare gli stolti e ridurli in cenere, magari natura” e principioarchè e physis, potrebbero proprio coincidere, giacché la natura non è mai statica, ma altresì dinamica, e come tale è una forza, è la forza che genera ogni cosa, compresi gli esseri viventi, che muovono sempre il tutto.

Le mafie utilizzano l'alfabeto dei simboli, lanciano messaggi più o meno cifrati, più o meno comprensibili anche a noi altri, per ricordare che nei territori loro sono certe autorità di riferimento, affatto affrancate da certa dittatura criminale, che lottizza certe opportunità di terre sulle quali edificare oppure magari cominciare palificare nel mito maldestro dell’energia eolica. Allora, porre e riproporre per tutti la questione meridionale sarà sempre sempre meglio che negarla, giacché gli speculatori non ci privano soltanto di un bene che è il paesaggio italiano, avvelenano e minacciano la nostra salute e vita, ma distruggono e depauperano, la nostra stessa identità.

Amerei dunque ci fossero eserciti pacifici di meridionali che sappiano porre  domande, proprio perché  vivono sui crinali infuocati in cui da una parte si hanno aspettative, che il fuoco riesca a poter fare “pulizia di tutto il male e dell’orrore in corso” che si continua a subire ancora in queste aree; e dall’altra qualcosa di diverso, di nuovo, forse più banalmente una nuova strada da percorrere esattamente direzione onestà, per far spiccare il volo ad nuova araba fenice che deve risorgere dalle sue stesse ceneri.


domenica 2 luglio 2017

E’ NATO UN ACRITANO DI ACRI


SUL DIRITTO ALLA SALUTE E ALLA TUTELA DEL PARTO DELLE DONNE ACRESI

Mi pregio di pubblicare per la prima volta un illuminante articolo della professoressa Angela Maria Spina, nostra concittadina impegnata da sempre nella difesa dei diritti delle donne.

Ogni donna acrese dovrebbe leggerlo e diffonderlo perchè la corretta informazione permette prima di tutto di avere consapevolezza dei propri diritti.

E’ NATO UN ACRITANO DI ACRI
di ANGELA MARIA SPINA
Acri, 01.07. 2017


 
Acri esulta, non solo perché ha un nuovo sindaco, una giunta esecutiva e una rappresentanza politica in pieno vigore, ma anche perché c’è aria di avvento, carico di attese, aspettative e banchi di prova, per quello che si spera possa essere un auspicabile nuovo corso storico nella terra dei briganti, che in questo giorno, nasce metaforicamente alla vita, anche nella notte in cui il piccolo Nicola, viene alla luce in modo rocambolesco, per pura virtù sua e della propria volenterosa madre.
Ma Acri alle sue nascite - si sa - non resta mai insensibile, e giù con foto, confetti, fiocchi, cicogne e sorrisi, per mero campanilismo a buon mercato, tutti ad esultare è nato un acritano di acri non già per offrire tripudi ed allori a medici e paramedici, che pur di calcare le scene e i prosceni del teatrino ospedaliero, svendono ed offendono al tempo stesso, nello scatto di un reportage fotografico, il diritto alla salute delle donne della locale cittadina, scambiando il frastuono della gioia per il lieto evento, con quello più rude e spigoloso del diritto alla salute.
Siamo già al terzo lieto evento con fiocco azzurro, che tanto fa gongolare i sanitari del locale pronto soccorso e del servizio del 118. Ma anziché far indignare e sollevare essi stessi, insieme ai malcapitati cittadini tutti uniti, per la vergogna di dover vedere nascere ancora nellanno domini 2017 i nostri figli e pro nipoti, sullo lettino di un pronto soccorso, in assoluta mancanza e carenza di personale specialistico o adeguata assistenza, da quando il presidio ospedaliero Beato Angelo di Acri è stato pesantemente dimensionato e contratto; a danno e per demerito di una intera comunità allo spasimo; si pensa invece a gongolarsi per un lieto evento, pur nobile ed importante per una comunità che ormai ha già abbondantemente dimensionato anche le sue nascite.
Per certi versi è sorprendente per il locale sistema sanitario, nella tendenza degli ultimi anni a voler ritornare allincudine del passato, che  si ispiri ed inviti cioè "alle cose naturali ivi compreso il parto, che possa essere ampiamente sostenuto e sponsorizzato come panacea allemergenza sanitaria in corso.
Però mi scandalizza come donna, madre e cittadina di questo sciagurato paese, tanto da ispirarmi al tema ah come si viveva bene una volta quando si stava peggio almeno si riusciva a partorire con un margine di sicurezza, che oggi è negato impunemente a tutte le donne fertili in età da parto (e sono tante) da orde di politici demolitori, che invece dovrebbero assicurare e tutelare i sacrosanti diritti anche delle donne-madri di questo territorio periferico ed isolato.
Certo ritengo sorprendente limmorale vergogna resa virtù, tutta racchiusa in una foto ricordo - che è semplicemente il risultato della disillusione- di una donna come me che, si scopre a vivere in un sol colpo unepoca oscurantista e per nulla audace come quella attuale, che invece di invitare a battersi per difendere il diritto alla salute, promulga, accetta e non sa di subire in pieno, le offese e le provocazioni, di quanti svergognati, si allineano tutti in bella mostra, nutriti e verosimilmente sani, per aver fatto poi cosa? Non si comprende bene, datosi che in una nascita ogni merito appartiene alla neo-mamma a lei sola e in fin dei conti ad ella ed al proprio bambino.
Ed io incontentabile di natura, che certo non mi accontento di stare come stiamo, so fin troppo bene che magari basta una pillola per uccidere il batterio della polmonite, così come non cerco di dare mai per scontato che se ci tolgono un dente, una puntura di anestetico è sempre meglio del vecchio caro alcol in un fazzoletto che insieme ad un buon litro di cognac fungeva da anestetico tra i denti.
Perché io sono donna, madre e cittadina, ecco perché mindigno, e chiedo altro; e laltro, si sa, non si può solo vagheggiarlo, né tanto meno inventarselo; ma è affermazione di una conquista che da donna a donna, magari conduce alla resa dei conti, per dimenare in faccia a quanti si propongono in bella mostra e si organizzano, per apparecchiare i tavoli dellaltrui successo, a proprio torna conto, per millantare le altrui prodezze ostetriche, offerte come prestazioni nel locale pronto soccorso.
Vergogna, Vergogna, Vergogna, per la folta schiera di "amanti del naturale" e del "ritorno al passato" cioè di quella parte di cittadinanza poco curante che dice e pensa così, facendo torto alle donne di Acri, alle quali implicitamente propone: signore siate le benvenute a partorire sul lettino del pronto soccorso Beato Angelo che da santo certo sindignerà almeno lui, per aver lasciato latitare gli acritani, alla rude considerazione che mi appresterò di qui a poco, a svolgere.
Del resto in un passato, non troppo lontano ma sempre vivo, si moriva come le mosche per mancate cure sanitarie e si considerava l'ultimo respiro, come l'unica fine al dolore ed alle sofferenze. Dunque per cosa ci si dovrebbe lamentare oggigiorno? Perché non ripetere allora che un antibiotico è del tutto "naturale" com'è "naturale" il fiore di un campo, se la banalità” del partorire viene ancora considerata tale, tanto da continuare ad essere sentita come un fatto troppo naturale da diventare un atto pretestuoso, per invitar le donne acritane allinsano balzo ed al ritorno al passato, che non considera ad esempio più lesa laffermazione delle future mamme senza il diritto al parto sicuro, ovvero, alla certezza di poter godere di tutta lassistenza possibile in ambiente protetto e rassicurante, affinché questo momento tanto cruciale, fosse vissuto nel modo migliore possibile, abbattendo cioè al minimo i rischi per la salute sia della partoriente che del nascituro.
In troppi infatti ignorano che il sistema sanitario nazionale deve prendersi carico della responsabilità di seguire e sostenere la gestante durante tutte le fasi che precedono e seguono il parto, ivi compresa la gravidanza e possibilmente anche lallattamento incluso, sia dal punto di vista strettamente medico che da quello psicologico e clinico.
 Dunque sono arrivata al punto: La violenza sulle donne, è anche quella di imporre a tutte noi donne un tipo di parto non sicuro, né protetto, che non prevede più come facevano le nostre nonne, che almeno sceglievano di partorire a casa - e che anche se morivano a frotte per complicanze da parto, riuscivano tutto sommato ad organizzare un margine di sicurezza e protezione a lunga gittata nel proprio letto, senza pretese alcune di emancipazione né di progresso.
Dunque perché mai per le donne di Acri, ad oggi non è dato più mai di considerare il parto come diritto e atto di giustizia, di scelta e di libertà?
Perché mai più la possibilità di poter partorire a casa, piuttosto che in sala parto, anziché in un freddo pronto soccorso, che dovrebbe essere considerato il posto migliore, per agognare di poter ritornare a partorire in sicurezza e riservatezza, piuttosto che come invece nei paesi poveri, dove vi è una mortalità materna e neonatale che rasenta la strage.
Da noi a queste latitudini, per scongiurare complicanze e rischi fin troppo evidenti, non è dato neanche di riconsiderare nemmeno la debita possibilità che il sistema sanitario possa Riorganizzare per il territorio - che non è suddito né secondo a nessuno - i propri servizi connessi alla ginecologia, dopo lo squartamento del locale presidio cittadino, che ha fatto della locale sanità carne di porco per usare un eufemismo caro agli acritani.
Abbiamo impiegato sforzi enormi e battaglie epiche, per inventare antibiotici, anestetici e per dotare il territorio di un nosocomio efficiente ed efficace ai bisogni del territorio, per scoprire che siamo stati tutti turlupinati, da quanti ci hanno catapultati allindietro del nuovo medioevo delle melasse sanitarie. Magari è solo un problema di cattiva comunicazione, perché a scrivere e saper dare bene le notizie - soprattutto quelle importanti sul dimensionamento sanitario- non basta mai, solo il volersi esprimere appellandosi ai dati; ma anche soprattutto a voler evitare falsi proclami da reality show e se possibile con drammatica austera serietà, invitarci tutti ad accomodarci altrove,possibilmente fuori da questo territorio, poiché sopraggiunti i ladri che hanno bene imposto, non più la salute e la sanità per tutti, specie per le donne categorie da sempre più esposte a rischio, è stato piuttosto imposto loro il rischio ed il calcolo probabilistico del: "che non accada mai il peggio sin che sarà possibile".
Il primo compito del medico è proprio informare bene, correttamente, ed onestamente, aggiungo. Con chi si affida alla medicina, è bene essere chiari, bisogna dire le cose come stanno ma senza mezze parole o scorciatoie e soprattutto senza pubblicità faziosa e tendenziosa, proprio perché ne va della salute della gente.
Ma solo in pochi conoscono la deontologia delle professioni, ed in una orgia di protagonismi, in barba al caro Ippocrate, in troppi danno il ben servito alla salute della città di Acri. In ostetricia alcune complicanze possono essere prevedibili ed hanno dei fattori di rischio, che aumentano vertiginosamente le probabilità. Penso perciò a tutta quella serie di complicanze, anche molto gravi, che sono caratterizzate da assoluta imprevedibilità - come tante cose in medicina - e queste sono quasi tutte legate allevento naturale proprio del parto, non quindi solo della gravidanza che precede la nascita del bambino. Solo nel passato poteva concepirsi che la gravidanza ed il parto fossero considerati come eventi rischiosi, ricchi di complicazioni e con una mortalità altissima. Oggi NO, pardon mi correggo almeno oggi non più,perlomeno per le donne acresi.
Per noi altre sciagurate, non è più così, la mortalità materna e neonatale, torna a marcare il passo tra centro e periferia, riducendosi per chi può permetterselo, mentre per le altre no, resta sempre drammaticamente molto alta, basti pensare alle infezioni contratte o alle emorragie post partum, che restano eventi improvvisi e drammatici, non sempre prevedibili e sì risolvibili; vi sono poi le complicanze a cui vanno incontro i neonati dopo la nascita, per forza di cose risolvibili solo in un ambienti attrezzati, libere da carenze strutturali e di organico.
Siamo dunque destinate donne Acritane, a dover invocare invano, il sacro diritto ad unostetrica ed un ginecologo al nostro fianco, essenziale per ogni futura mamma, durante il parto come concessione e frontiera delle nostre stesse incerte conquiste. Perché è un diritto ancora fondamentale della donna dei paesi civilizzati, avere al proprio fianco una persona professionalmente capace, sia pure oltre la sola medicalizzazione.
Tutte le giovani donne Acritane incinte, insieme dovrebbero per prime promuovere e chiedere per sé, la loro libertà di scelta e di autodeterminazione anche al momento del parto, come donne e come cittadine, per poter ad esempio scegliere in libertà, un modello specifico di parto vaginale piuttosto che cesareo; naturale piuttosto che con anestesia epidurale e quantaltro; per poter continuare così ad affermare il proprio diritto come donne, di scegliere come e dove partorire.
In altri termini, bisogna riconoscere che la violenza sulle donne può avvenire anche al momento del parto, privandoci di fatto di non poter scegliere, del diritto di ognuna a compiere una scelta consapevole, qualunque essa sia. Ecco perché considero, la negazione del diritto di scelta delle donne acritane al parto, come donna, madre e cittadina, una violenza sulle donne alle donne, che come tale deve essere combattuta in primo luogo soprattutto dalle sanitarie donne, oltre che da ogni cittadino. Così come deve essere perseguita, la pratica degli interventi medici non necessari e non acconsentiti, che costituisce un abuso e unintollerabile negazione dei diritti della persona anche la salvaguardia del diritto al parto ad Acri, dovrebbe essere fatta salva, poiché il diritto di scelta deve essere sempre salvaguardato a prescindere dal contenuto della scelta stessa, che è un valore assoluto in sè.
Le donne sanno rivelarsi coraggiose, specie quando denunciano gli abusi subiti al momento del parto, ecco perché invito tutte le donne di Acri partorienti e non, in quanto donne, a battersi e ribellarsi per il riconoscimento del diritto di scegliere dove e come partorire e segnare un punto di svolta, per le stesse sorti del sistema sanitario locale.
Là dove sono impotenti i politici saranno potenti le acritane unite. Incontrarsi perciò per creare un movimento che sia funzionale alla diffusione della cultura dei diritti umani delle donne al momento parto, ma che sappia diventare funzionale anche alle denunce ed alle azioni concrete verso lintero presidio ospedaliero della città di Acri, sarebbe un bel gesto di civiltà e coraggio, per promuovere la riscoperta, delle capacità di partorire, che se pure innata e preesistente a ogni protocollo, è funzionale come già detto, al diritto di diffondere la cultura della libera scelta e del consenso consapevole ed informato al momento del parto.
Ogni donna consapevole delle proprie risorse, infatti è più capace di interagire finanche con il personale medico e ostetrico, e diventa così in grado di mantenere un ruolo attivo anche durante il parto. Una donna che ritrova fiducia nella propria capacità di partorire può meglio superare la paura del parto, accogliere lintima esperienza del dolore e naturalmente, abbattere limmagine stereotipata del parto come sofferenza fine a sé stessa, che è immagine che ha dato alla cultura della medicalizzazione il terreno fertile sul quale far attecchire e sovente continuare a fare sciacallaggio a buon mercato.
Le donne Tutte devono poter partorire in sicurezza; le donne stesse dovrebbero essere assistite per partorire, da medici e paramedici potendo contare anche su supporti psicologici e di assistenza legale, per rispondere alle esigenze di salvaguardia della donna e del nascituro.
Esigenze reali, dichiarate e documentate, rendono per Acri tutto questo di fatto impossibile, imponendo un esclusivo modello di parto quello cioè in urgenza, come un unico modo di affrontare lesperienza del parto come personale e opinabile, cioè come un più banale modo di viverlo. Solleviamoci dunque da questa ignobile frustrazione offensiva e discriminante contro un tipo di violenza sulle donne, subdola ed incontrovertibile.
Dunque tante madri acritane, per numerosi parti in sicurezza, utili tutti,  per richiamare lattenzione dellintero borgo, sullo stato di diritto e la sicurezza, che si dovrebbe garantire alle partorienti e alle puerpere di questo nostra cittadina. Tante più madri per un personale in servizio nei reparti interessati e per lintero ospedale, più organico e personale in servizio, da prevedere nei singoli reparti per garantire efficienza, la strumentazione dei servizi, degli ambulatori ginecologici e non, dellintero nosocomio e di ogni singolo dettaglio sanitario, sulla necessità di fare un bilancio sullesistente già ridotto al lumicino, ed anche sulla adeguatezza del personale sanitario in forza ed Acri a seguito dei pesanti e considerevoli tagli e spostamenti, che minano e sfidano sistematicamente la sicurezza dei pazienti di Acri.
Maggiore omogeneità nelle politiche sanitarie della locale struttura ospedaliera, per quanto riguarda il percorso nascita, lassistenza al parto e le misure di controllo del dolore durante il travaglio. Ridefinizione del ruolo del locale consultorio e dellattività ospedaliera con dotazione organica, in cui possa essere garantito, il percorso nascite e lassistenza alla gravida durante tutto il periodo della gravidanza fino allespletamento del parto con la disponibilità h24 di personale dedicato, che può anche avvenire certo anche in regime di urgenza, ma contempla sempre e comunque lorganizzazione di mezzi, uomini e ausili, utili allespletamento dellevento parto in sicurezza, con particolare attenzione alla umanizzazione dellintero percorso, per lassistenza in loco.
In definitiva si tratta di recuperare pezzi di efficienza e capacità per dare risposte agli enormi bisogni sanitari del territorio acrese, che ci sono stati impunemente scippati per mettere in sicurezza il percorso nascita e soprattutto per la presa in carico della donna gravida fino al momento della nascita, con se possibile, ulteriori e importanti investimenti così come avviene in altre realtà, per tutto un ospedale che serve ed è presidio per un intero territorio svantaggiato e penalizzato pesantemente.
Acri lo desidera, le donne di Acri lo meritano.
ANGELA MARIA SPINA