C'erano una volta le Guardie Forestali
“Nur noch ein Gott kann uns helfen”. M. Heidegger.
“Innalzo, invece, una preghiera all’imperfetta bellezza della
Calabria ed alla sua antica dea, Afrodite. La imploro di continuare, come fa da
secoli, a rigenerare le distruzioni, a risanare le ferite, a risollevare gli
animi, a infondere fiducia, a creare speranza. Tutto il resto spetterebbe a
noi. Ma sono certo che come sub-umani, geneticamente modificati dal consumismo,
dall'edonismo, dall’ignoranza, dall’imprevidenza, dall'irresponsabilità,
continueremo a far del male alla nostra casa e a noi stessi.” F. Bevilacqua
Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda
di Angela Maria Spina
Che il fuoco sia il primo dei 4
elementi fondamentali secondo le cosmogonie occidentali e le tradizioni
sapienziali dell’antichità, è un dato ben noto ed acclarato a tanti. Ma che
nell’estate del 2017 il fuoco potesse diventare uno degli elementi più
devastanti del paese, non certo nell’accezione di energia e passione, era forse
immaginabile. Il fuoco dunque, come punto cardine
e metafora di un paese, specie nella sua cinta centromeridionale, che
letteralmente si sta consumando tra le fiamme del proprio inferno, nel suo
verosimile girone dantesco, da cui è quasi possibile scorgere simbolicamente un
cartello: “Lasciate che si arda”.
Nelle zone in cui si elevano alte le fiamme ed i roghi
infatti, si è trafitti ogni volta come quelle zanzare che fanno colare il
sangue nutrendo la terra piena di vermi. Qui si rende possibile quel balzo
metaforico pur sempre necessario, verso ciò che associa al genere umano di soli
carnefici, che sanno sempre bene come annientare e distruggere la vita.
Rappresentazione esagitata di un genere tutto maschile, che sa come
piangere con lacrime asciutte di fieri uomini, invece che non quelle delle
madri che versano lacrime amare per i figli infelici e tristi, defunti oppure
randagi come cani nel mondo. Giovinezze disperse ed allontanate che oggi come
ieri cercano asilo, ancora nelle nuove moderne americhe.
Quel fuoco è spaventoso ed orribile,
assimilabile all'elemento fecondante paterno, che mutua dal calore del cielo,
il suo tentativo di operare una sterilità annichilente, quella cioè che non
riesce ad essere feconda di un vero cambiamento e malgrado voglia, sa di non
potersi unire all'elemento tutto femminile, di terra fertile concepita come
archetipo, generato non come un giovane germoglio o essere vivente, che irrora
e distilla trasformazioni e magari inviterebbe anche a berne al calice della
propria sana prolificità. L’Italia centro meridionale combatte
e si dimena come può, tra le fiamme alte ed i roghi, in cui solo alle
salamandre, sarebbe dato sopravvivere, come nei rimandi letterari mitologici di
creature alchemiche, che proprio perché considerate immortali e resistenti al
fuoco, intessono quando possibile, poveri e miseri pensieri, quelli di
disperati uomini perennemente in cerca anche storicamente sempre di un altrove,
dove vivere meglio e bene, piuttosto che in quella loro propria terra
amarissima, dove è più facile rincorrere vuote schegge e ombre di un abitare il
sud che oramai da tempo è divenuto buio, afono di suoni ormai del tutto
muti ed inerti; specie nei tanti paesi minuscoli e piccoli, abbandonati ad un
isolamento inesorabile, in cui solo il suono dell’emigrazione e dello
spopolamento, echeggia altero e fiero.
C’è un Sud apparentemente perduto, che ancora
cerca di capire il perché di tanto accanimento, di sì tanto scempio proprio col
fuoco, quello che altresì nell’anima povera dei suoi contadini si sapeva
sempre come trattare e rispettare, per tradizione antica.
C’è anche un Sud attonito ed arrabbiato che
spiega come può l’oltraggio ai suoi stessi figli e con tanto, tanto orrore, si
adopera per rispondere come i filosofi agli interrogativi dell’arche, cioè a
quell’origine o principio, che è l’inizio e ne è certo la causa di tanto
indicibile male.
Ma sempre aperti restano i dubbi e le risposte vaghe o
forse sempre ancor di più afone come sempre in questi casi, s’intonano con
misera efficacia, tutte le tristi litanie di nenie da troppo tempo in lutto.
Avviene quando a bruciare sono i boschi, è come se si udisse un triste ed
accorato pianto dell’anima degli alberi; perciò si dovrebbero commemorare la
flora e fauna polverizzate, andate tutte letteralmente in cenere, le quali
impiegheranno millenni lunghi e lenti, prima di potersi elevare al nuovo
rango di bellezza paesaggistica naturale.
A questo funerale, partecipa l’alter-ego
dell’anima del sud, quella che cerca invece di strappare e difendere alla
morte, non solo la vita dei suoi boschi, come quella dei propri luoghi, come
delle sue montagne nella sua storia, pensando a tracce, scarti, frammenti,
polvere e cenere, alle rovine di quei paesaggi e di una certa geografia tutta
meridionale, che nel suo stato attuale è veramente desolante.
Quel tale Eraclito di Efeso, (550 a.C./480
a.C. ca) secondo cui, il fuoco è stata un’entità che mutando resta simile, non immaginava che questo
fuoco estivo potesse tanto nel Sud Italia nell’anno domini 2017, specie in
Campania, Sicilia ed in Calabria; cioè in quelle cosiddette Regioni infelici
per non avere mezzi aerei sufficienti, tali da poter intervenire allo
spegnimento degli incendi.
Dicono sono le Regioni ad essere del tutto
sguarnite di mezzi: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia,
Umbria e Sicilia, a cui mancano elicotteri antincendio. Infatti interi
territori sono costretti poveramente a mobilitarsi ed a evacuare alla meno
peggio, decine e decine di ettari, in preda a fiamme assatanate, nella maggior
parte dei casi sempre di natura dolosa.
Il fuoco è avviluppatore: due vittime calabresi morti
per asfissia mentre tentavano di avere ragione delle fiamme che devastavano
case e terreni. Impietose telecamere che riprendevano i cittadini di San Pietro
in Guarano mentre, aiutati da polizia, carabinieri e Croce rossa, abbandonavano le loro case in
preda al panico, soffocavano l’aria non più tersa e cristallina.
Situazione tanto drammatica, quanto parossistica. E
per fronteggiare un’emergenza per la quale si è mobilitato finanche l’esercito,
udite, udite,
sono operativi solo cinque elicotteri. Certo bisognerebbe far sapere ad Eraclito che invocava
la forza del fuoco come principio primo, che la flotta aerea dello Stato Italiano che si
accompagna alle flotte regionali con 16 Canadair e 12 elicotteri della Difesa,
dislocati su 14 basi, contempla delle falle più grosse dei buchi di un corredo
di groviera.
Sin anche al fondatore dell’ermeneutica contemporanea
Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900, Heidelberg 2002), avremmo dovuto far sapere così pure come ai
grandi metafisici come Hegel, così attratti da Eraclito, e dal mistero
dell’unità del molteplice,
che ci si confonde spesso, pensando ai soli 32 elicotteri antincendio
complessivi, del Corpo forestale dello stato in forze in questa emergenza,
28 velivoli dei quali non possono in alcun modo ancora alzarsi in volo
per spegnere fiamme altissime, che divampano, divorano ed avviluppano. Giacché
questa singolare armata di Elicotteri è inutilizzata anche in ragione dalla
recente riforma Madia, la quale ha tagliato per così dire i viveri ai forestali, accorpando mezzi e personale ad altre forze dell’ordine. Gli elicotteri dei quali, sono stati divisi, 16 velivoli in dotazione
all’Arma dei carabinieri e 16 al Corpo dei vigili del fuoco, che per mancanza
di brevetti e adeguamento ai nuovi criteri imposti dalla legge, soltanto in
quattro sono stati messi attualmente in volo. Parrebbe semplicemente perché ancora non sono stati riverniciati
con la scritta del nuovo corpo di appartenenza.
Sarebbe in ogni modo anche interessante intrattenersi
pure con gli amabili filosofi, per non tener da conto, che su circa
ottomila forestali, 6.400 sono andati a rimpolpare l’organico dei carabinieri,
1.240 sono finiti a vari livelli nella pubblica amministrazione e solo 361 sono
andati ai vigili del fuoco. Una
sproporzione piuttosto evidente, aggravata dal fatto che le competenze proprio
sugli incendi boschivi sono finite agli stessi vigili del fuoco, i quali sempre
privi di mezzi e ancor più di organici, sono stati di fatto abbandonati dallo
Stato che li generati per partenogenesi.
In questi giorni a sorvolare il Sud
Italia per spegnere gli incendi che sono appiccati in ogni dove, sono per lo
più i Canadair, che specie in Sicilia, ma del
resto anche in Calabria e altrove, hanno per lo più il costo di 14 mila euro
l’ora e sono inoltre del tutto gestiti da privati, che (felicemente)
sopperiscono per meri fini di lucro, alla paralisi ordita nella macchina
organizzativa dello stato; stante alla medesima situazione che riguarda anche
tutti gli elicotteri utili per il salvataggio e la lotta agli incendi. Questo è
il dato macroscopico di quanto accade oggi in questo paese strano detto
stivale, in cui il suo mezzogiorno tanto “sfigato” è tanto isolato e sempre più
abbandonato e lasciato inerme anche in balia delle proprie fiamme, sebbene
ruggisca esattamente come un cucciolo che s’avvezza al gioco del massacro.
Magari chissà qualche buon tempone avrà forse
immaginato che le fiamme purificatrici, potessero almeno questo: estirpare
esattamente alla radice il suo male antico quel problema cioè vecchio quanto il
cucco, che oramai si ripropone identico e drammatico nelle proprie forme
disperatissime, quasi ogni estate; e che forse una massaia o un mezzadro del
primo ‘900, determinerebbero con certo meno errori ed orrori, rispetto a
quanti ne ha combinati quella cattiva inadempiente politica, che è stata e
continua ad essere madre dei soliti ritardi e delle colpe nei confronti dei
suoi beni pubblici, nelle amministrazioni locali.
A Sud dopo la soppressione dei forestali, esattamente
nello scorso maggio con una nuova legge, le cui norme ancora non hanno visto
luce, perché prive dei propri decreti attuativi nel numero di 15, (ancora
inapprovati); tutto è più grigio e cupo nella cenere, anche dopo che le fiamme
hanno arse le dorsali pedemontane ed appenniniche, ed hanno avviluppato anche nelle
sporche coscienze, le responsabilità collettive. È quasi un girone dell’inferno
Dantesco in queste ore l’Italia centromeridionale. Appare come quello in cui
certi dannati degli ultimi tre cerchi dell’inferno, si rendono i più colpevoli
di aver posto la malizia nelle loro cattive azioni: come accendere e dar fuoco
e fiamme, ai boschi alle sterpaglie ed ai paesaggi antichi ed incontaminati
ancora con la stessa mano armata che brandisce il cerino.
Tutti i “custodi” di questo inverecondo moderno
cerchio di fuochi e fiamme, si identificano con un Minotauro mostruoso, che
rappresenta la «matta
bestialità», ovvero quella violenza che avvicina l’uomo agli esseri più
meschini e bruti, più spregevoli, ben oltre l’orrore delle “bestie”.
Aver appiccato le scintille
o alimentato l’imponderabile imprevisto della mano “umana” è roba da
professionisti, giammai di improvvisati fuochisti dell’ultima ora, che attoniti saprebbero ritrovare nelle carcasse dei loro stessi animali
divorati dalle fiamme, tutti gli spettri delle loro sporche coscienze, che
li costringerebbero altresì almeno alla dannazione quasi eterna, di essersi
resi violenti contro essi stessi, prima che con gli altri.
Un poco come quei suicidi preterintenzionali, che
magari poi, e solo per la mitologia, verrebbero trasformati in alberi per
pura legge del contrappasso, resa più improbabile la pena per un
ripopolamento, ed averne altresì cagionato volontarietà a rinunciare alla natura umana, di custodi
della morte, piuttosto che non di vita.
Tra gli Italiani i meridionali in queste circostanze
appaiono come ombre, gravate dall’utopia disincantata che si portano dentro,
attraverso cioè una insana forma malinconica di parca speranza, che magari
vorrebbe ritrovare esattamente proprio in quelle proprie sacre ceneri, per
provare anche a far risorgere quell’araba fenice, tanto improbabile e
vaga, che magari potrebbe riscattarli tutti, e saprebbe anche come renderli
felici.
In fin dei conti forse a meglio riscattarli, non è
dunque solo quello strano uccello piumato, connesso alla ciclicità della vita, come morte e
resurrezione quindi come eternità dello spirito; ma potrebbero esserlo piuttosto
quelle salamandre cioè quelle creature più prossime agli esseri umani,
sia come sostanza pensante del fuoco, sia come unicum capace di sviluppare il principio invisibile
dell’Io identitario, che invece occorrerebbe piuttosto definire per tutti
i meridionali, che numerosi ne restano ancora sprovvisti.
La verità della questione è forse anche quella che ad
onor del vero considera la misura di un buco di organico in forze all’anti incendio, di circa 3.500 unità rispetto a quanto previsto, che assicura cioè un
servizio del tutto scadente e quasi inconcludente, circa le
complesse problematiche dei fuochi. Varrebbe a dire che quasi ogni 15mila
abitanti, cioè ben al di sotto della media europea, si accresce e giganteggia
il rischio che possa più facilmente accadere un nuovo focolaio, a cui si
sarebbe soliti assistere impotenti, senza cioè poter fronteggiare una qualunque
grave evenienza, sui gradi dell'unità in scala di misura della temperatura. La domanda corretta allora è dunque la seguente:
perché Non “sfruttare” adeguatamente gli ex forestali per
rimpolpare, senza costi aggiuntivi, gli organici?
In verità credo che operai della Forestale, pastori e allevatori non abbiano nulla da guadagnare dal
fuoco; forse con ogni probabilità ad avere possibili interessi dalle fiamme
sono piuttosto altri soggetti, interessati ai grassi e grossi appetiti, con interventi previsti per la ricostituzione delle aree verdi, ed in fin
dei conti anche per il grande giro di affari su elicotteri e Canadair. Ma è
risaputo finanche che a queste latitudini, siamo facili prede di quelle creature
mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, quelle stesse
arpie che nell’Eneide profetizzavano ai troiani più fame e sciagure; e per
i meridionali di oggi, più povertà e desolazione intrepide per lunghi ancora
anni da venire.
Se piuttosto che i boschi, e la salvaguardia delle
aree paesaggistiche, si preferiscono gli orribili scialacquatori, e gli
indisturbati ladri che distruggono e dilaniano le “sostanze” cioè quei
patrimoni naturali ricchissimi, senza esserne lacerati come da “cagne fameliche” con la stessa
medesima ferocia; allora il grado di trasfigurazione dello sciagurato popolo
meridionale sarà inevitabilmente smarrito per sempre. Nessun altro riscatto
sarà più possibile.
Del resto noialtri si perdona tutto, finanche il più
devastante deserto di fuoco, di fiamme e cenere che improvvide amministrazioni
scellerate, che magari immaginano di “abbellire” con meschini Km di pale
eoliche, “piantate” magari sia pure ben mimetizzate, per smerllettare gli
scempi e ripianare i debiti di pubbliche amministrazioni trafitte dagli strali
dei debiti.
E lo stesso delitto al territorio, il ratto e la
rapina, si perpetuano silenziosi e tristi, come la mancanza di acque e di
prevenzione oculata dei territori erosi e corrosi, nel cancro di società
omertose e complici, di organizzazioni del malaffare, che avvelenano acque,
terre, fiumi, laghi, del tutto indisturbati e famelici, vampiri del nostro
stesso sangue vivo.
Del resto poi si sa, c’è chi non solo non ha misura
nel gestire il proprio patrimonio, ma riesce con egual ferocia ad infierire su quello
degli altri, distruggendo attraverso le proprie sostanze, in una caccia
infernale, contro le altrui bellezze naturali di ognuno.
E poi saremmo anche capaci di riversare i mali e le
colpe della comunità, sugli operai della Forestale si sente spesso dire “non fanno
niente” omettendo di ricordare, che in genere questa categoria s’avvia al
lavoro magari proprio in giugno, senza che le necessarie opere di
prevenzione degli incendi siano state effettuate per tempo, cioè senza la
ripulitura delle erbe secche e delle sterpaglie.
Ora se è vero che le relazioni, cambiano sovente le
morfologie dell’abitare, del vivere nel senso stesso dei luoghi, allora resta
incontrovertibile che ferite così, che sono tanto lente, lentissime a sparire,
sono il manifestarsi di cancro devastante.
È pur vero che ciò che appartiene al tempo, trascorso
o vissuto, può sempre essere riscattato, anche oltre le cesure e le
discontinuità di un mondo
carsico di potenzialità sommerse, e in un paese
come l’Italia meridionale, che come è noto non è per nulla capace di esprimere
potenzialità diverse, se non
per le incompiute, “suscettibili” magari auspicabilmente di incontrovertibili realizzazioni a
doppio binario.
L’Italia intera brucia, e con essa non solo il suo
desolato mezzogiorno.
Vuoti di cenere e ombre, di un morire lento ed
asfissiante di un paese, che non riesce nemmeno a concepire il patrimonio
naturalistico oltre che quello culturale, come il volano preziosissimo
del suo miglior sviluppo.
Dunque una scintilla in un regno buio ed oscuro nel
quale si accusa il male di vivere. Qui l’aria è sempre densa, e quando
riecheggiano voci, rumori e frastuoni, anche quei suoni inerti e le specie
faunistiche dilaniate, dei paesi di quel centro-Sud in fiamme, sempre più
abbandonato al proprio destino, gridano vendetta. Magari sarà anche
possibile pensare tracce, scarti, frammenti, rovine, paesaggi come una
geografia a tutti gli effetti di un presente dissennato e dissoluto, ma oltre
le ombre, gravate dall’utopia disincantata di un pessimismo assoluto, si
dovrebbero portare dentro le colpe politiche ed amministrative verso queste terre, colpe ancora
tutte da espiare. Non basteranno perciò le forme malinconiche, oppure quelle
agguerrite e prive della speranza, a ristabilire il riscatto.
I pompieri - ad esempio - sono il corpo meno pagato in
Italia: gli stessi forestali percepiscono in media circa 700 euro in più al
mese rispetto a un vigile del fuoco. Tanto che a tutt’oggi i 361 ex forestali
prendono un’indennità diversa rispetto ai vigili. Insomma, il dubbio è che per evitare squilibri troppo evidenti e il
rischio di dover poi alzare le indennità a tutti i vigili del fuoco, si sia preferito scegliere un’altra strada e
un’altra destinazione.
In fin dei conti però se non bastasse, vi è sempre un altro modo per colmare
il gap di organico in questo settore, come ed esempio poter attingere alla
lista di tremila idonei di un concorso svolto nel 2010 che da anni in molti
attendono invano possa tornare ad assumere.
Peccato che, al di là di mille promesse, nulla sia stato
finora fatto, più dei proclami vuoti ed asfittici. Perciò accanto ai ritardi nazionali, regionali magari
anche locali, restano sempre le responsabilità di una politica
inconcludente e meschina che è ad esempio incapace e lenta nell’approvare il
Piano antincendio boschivo (Aib) 2017 e dunque le relative modalità attuative per organizzare la prevenzione, il
lavoro a terra e gli accordi con i vigili del fuoco e con la Protezione civile. La conseguenza è che gli operatori lavorano senza
direttive ed esposti a turni massacranti, come in qualsiasi situazione
emergenziale, in cui il paese è da sempre campione. Mobilitare l’esercito nelle
zone roventi, espone al rischio di mandare persone impreparate, prive di
competenze specifiche, come quelle in forze proprio ad esempio
all’antincendio boschivo. Mentre i cosiddetti discontinui cioè
quei precari dei vigili del fuoco, i quali potrebbero tornare utili ed essere
chiamati al servizio vista l’emergenza, sono ritardati perché non è stata
siglata alcuna convenzione con le Regioni.
Tutto questo mentre il fuoco continua a divorare
qualcosa come ettari ed ettari di boschi e verde dello stivale. Vorrei dunque esser io
stessa foco per avviluppare gli stolti e ridurli in cenere, magari “natura” e “principio” archè e physis, potrebbero proprio
coincidere, giacché la natura non è mai statica, ma altresì dinamica, e come
tale è una forza, è la forza che genera ogni cosa, compresi gli esseri viventi,
che muovono sempre il tutto.
Le mafie utilizzano
l'alfabeto dei simboli, lanciano messaggi più o meno cifrati, più o meno
comprensibili anche a noi altri, per ricordare che nei territori loro sono
certe autorità di riferimento, affatto affrancate da
certa dittatura criminale, che lottizza certe opportunità di terre sulle quali edificare oppure magari
cominciare palificare nel mito maldestro dell’energia eolica. Allora, porre e
riproporre per tutti la questione meridionale sarà sempre sempre meglio che negarla, giacché gli speculatori non ci privano soltanto
di un bene che è il paesaggio italiano, avvelenano e minacciano la nostra
salute e vita, ma distruggono e depauperano, la nostra stessa identità.
Amerei dunque ci fossero eserciti pacifici di
meridionali che sappiano porre domande, proprio perché vivono sui crinali infuocati in
cui da una parte si hanno aspettative, che il fuoco riesca a poter fare
“pulizia di tutto il male e dell’orrore in corso” che si continua a subire
ancora in queste aree; e dall’altra qualcosa di diverso, di nuovo, forse più
banalmente una nuova strada da percorrere esattamente direzione onestà, per far spiccare il volo ad
nuova araba fenice che deve risorgere dalle sue stesse ceneri.