Mutazione
totalitaria con le tare della società liquida postmoderna, applicate al
femminile.
di Angela Maria Spina
L’enucleazione delle regole di calcolo di un sistema
simbolico - come per il gioco degli scacchi -
prevede come è noto di stabilire un sistema (convenzionale o non) per
calcolare le possibili combinazioni, dalle quali è determinata l’articolazione
della struttura razionale della realtà in generale, tanto da poter far
prevedere domande talvolta bizzarre o speciose come quelle che mi è capitato di
pormi in occasione di un serio
appuntamento culturale della mia città : “che cos’è quel convegno?” “Quale
rapporto c’è tra i temi, gli sviluppi e le sue proprietà rappresentative?” In
definitiva che rapporto sussiste tra ciò che taluni chiamano filosoficamente l’identità
di razionale e reale, che il sistema hegeliano anche con qualche reminiscenza
scolastica avrebbe dovuto pur insegnarmi.
Tant’è che l’Amministrazione
Comunale Città di Acri ed i prodi
tecnici della cultura di cui attualmente si fregia ed avvale, hanno
organizzato giorno 27 marzo c.a. il
Convegno sul tema “Onore e Dignità della
Donna Meridionale”. Tutti loro avrebbero però almeno potuto tenerlo in
debita considerazione questo ragionamento, poiché ben inteso la ragione è
(sempre) mezzo di elaborazione della rappresentazione della realtà. Quella del convegno in verità è stata
sciatta, pressapochista e irrispettosa di fonti, testi e contesti. Gli ospiti
infatti si sono posti di fronte a tutto questo, più che per comprendere,
definire e arricchire i temi proposti al pubblico, scegliendo invece di
procedere esattamente come farebbero due rette parallele.
Ecco perché avverto irrefrenabile il bisogno di
giudicarne aspetti prevalentemente negativi, visto che i pochi positivi
attengono esclusivamente a quel cammeo
di studenti della IV A del locale liceo classico, ed a certe docenti,
troppo poco presi in considerazione .
Convegno il cui esito è a mio modesto parere è stato
deplorevole. Non certo per le intenzioni, che si spera almeno quelle, si
possano fare salve, rispetto alla penosa rappresentazione, parcellizzante e confusa
resa dagli studiosi sulla donna meridionale, punto di contatto tra ciò che è
stato e quello che invece avrebbe potuto essere, tra realtà e possibilità, in
quella che è parsa rappresentata come una ruptile potenzialità espressiva. Con
un rituale al quale siamo ormai già saturi da tempo, si è dato corso
all’enucleazione stereotipata, asfittica e ripetitiva di vecchie
interpretazioni del femminile, ormai indigeste,
citate con troppa parsimonia e ancor più colpevolmente declinati
attraverso una penuria di contenuti tutti per lo più contriti, da far invidia
all’università di Facebook; che non solo non hanno reso giustizia e degna
rappresentazione della donna meridionale del passato, ma neanche dato impulso
all’elaborazione del tema per quelle giovani donne contemporanee studentesse acresi,
alla cui presenza si è consumato il misfatto che è tanto più grave quanto più
deplorevole. Un femminile rappresentato
come un vuoto del Desiderio proteso al Passaggio, il cui dono non è mai
assolutamente gratuito; in quella che mi è apparsa - se mi si concede la
licenza - come una sorta di liturgia in lingua materna, declinata in chiave di
negativo, proprio per la prevalenza del NON attribuito alla rappresentazione
della donna in generale ed alla sua simbologia interpretativa; non più che come
un buco dell’essere nichilistico, dove il male era e resta un problema e il
niente dell’essere invece, non è neanche per un momento un passaggio verso la
verità o la giustizia della sua presenza. Forse che i cattedratici abbiano
smarrito il senso della realtà e dei temi per sopraggiunti limiti d’età? Non oso immaginarlo, da parte di così grande
gotha.
Il Tema del
convegno invece, tanto complesso e variegato, sia pure non distinguendosi per
originalità e ideazione singolare -
posso affermarlo senza timore di smentita - è stato un classico aborto
embrionale delle migliori intenzioni, restate tutte fulgidamente inespresse,
vittime della lettura maschilista, retrograda e per nulla accattivante, che
guardano alla donna in modo compiaciuto ed ammiccante, figura servile,
effettivamente oscurata, magari anche sopravvalutata in taluni contesti e
sempre al peggio, come presenza intermittente priva di saper far scorgere
quello che invece c'è oltre la superficie.
Neanche la nemesi incombente della modernità, dopo il
Capitalismo e Neoliberismo che si sono giovati della cosiddetta morte apparente
del femminismo, che pure ha provato a far intravvedere diverse chiavi di
lettura ed interpretative del femminile; sono serviti da lezione; forse perché
il feticismo delle merci, come lo chiamava Marx, cioè il bieco consumismo,
basato proprio sulla possibilità di soddisfare tutti i bisogni indotti che ci
vengono inoculati, (preferibilmente al netto di contraddizioni!) continua a
rilanciare e se possibile abbattere e demolire, la fastidiosa voce del vero
talento del femminile. Hai visto mai, dovesse cominciare ad inoculare ed
imporre limiti o dubbi allo straripante pensiero unico maschile?
Insomma, per spezzare l’autoritarismo, del pensiero
unico dominante e della visione unica maschile che continua ancora a volerci
proporre interpretazioni e rappresentazioni improprie del femminile, occorre
certo spazzare via il principio di autorità maschile e con esso gli unici freni
che ne inibiscono il trionfo (solo tutto maschile) incontrollabile, anche in
situazioni grottesche come quelle a cui un pubblico sofferente ha avuto modo di
assistere durante i lavori.
Mi domando: quali letture abbiano mai svolto alla
preparazione del tema e quale elaborazioni del convegno siano state immaginate,
perché francamente a me è sfuggito, sicuramente per mia imperizia. Trasecolare
udendo relazioni tanto superficiali, è stata cosa sin troppo ovvia, per un
risultato tanto oltraggioso, interessati come sono stati i relatori, ad offrire
una rappresentazione delle donne sconnessa, frammentata e claudicante, che
nulla a che vedere né con l’onore, né con la dignità ed ancor meno con le
donne, specie se meridionali.
Le donne meridionali rappresentate dal lume d’ingegno
di tale calibro accademico: Lombardi Sartiani, Scafoglio, Ranisio, (i quali è
indubbio che per la circostanza abbiano ceduto tutti al piglio di arrabbattare)
nel novero di un bagaglio esponenziale di autorevolezza indiscussa, che ai
primi, questo territorio risorgimentale paduliano, ha sempre riconosciuto; e
che per troppo tempo ha anche foraggiato con iniqua impudenza ed imperizia,
attraverso quella strana vacca da mungere del buon caro abate acritano, al
quale a piene mani tutti hanno attinto con pubblicazioni ed onorari. Adesso
francamente suonano veramente come scordate rispetto agli accordi musicali.
Gli studiosi convocati per l’importante occasione,
hanno dunque tutti inteso parcellizzare e sperperare con i loro interventi,
un’occasione che -anche se impropriamente spesa in nome di Giuseppe Antonio Arena - poteva essere occasione preziosa per
cominciare davvero a voler intraprendere una interessante strada, su questi
temi. L’intera storia del pensiero è
popolata di donne, un lavoro apparentemente di archeologia del pensiero
femminile, sommerso o dichiarato.
Un colpevole mancato recupero di testi, contesti,
fonti bibliografiche che urlano di donne isolate, tagliate fuori dalla cultura
ufficiale, ma protagoniste sempre di quella ufficiosa, in cui anche se donne
sempre per lo più analfabete e nelle retrovie, erano e restano donne sempre
collocate solo in secondo piano, all’ombra del peduncolo appassito. Da tempo ormai l'ignoranza ostentata di tanti
intellettuali italici, relativamente a temi per così dire “femministi” li riguarda direttamente, interroga le loro vite,
piuttosto che la loro professione, la loro cultura, e soprattutto le loro
teorie interpretative. Forse sarebbe il
caso di chiedergli perché ne parlate sempre in questi medesimi termini di quarant’anni
or sono? Che cosa avete aggiunto con i vostri contributi di cattedratici, a ciò
che non ci avete già detto o a quello che nel frattempo abbiamo scoperto
altrimenti?
Chi sarà la divinità che le fecondava queste donne
della storia, che le riempiva, che le rendeva felici in quanto maternamente
capaci di produrre, pur non avendo identità libera e propria? Qual’è la reale
potenza storica del femminile sul meridione del passato e del presente e quale
dovrebbe invece essere quella del futuro?
E’ una potenzialità e tale rimane, di chi le affida l’anima e come nella
dialettica del partorientepartorito tra anima e Dio, la prima è sempre
reversibile, la seconda invece no; così come anche quella del
possibile-impossibile, che nel pensiero toppo arrogante e presuntuoso, si
rovescia come una clessidra.
Sarà forse che la concezione di uno Spirito
continuamente spinto in avanti sulla strada della verità, grazie alla
constatazione dell'inadeguatezza dei risultati fino ad ora raggiunti, è magari
destinata inevitabilmente a fallire ancora, proprio perché - ciò che intendo
qui rappresentare come principio infinito -
dovrebbe per lo meno servire ad animare e ordinare la realtà, almeno su
questi temi a me molto cari; che invece sento ancora riproposti alla stessa
forma dei loro vecchi interventi. Mentre
nel frattempo invece la realtà “razionale” è dinamismo, sviluppo, progresso,
anche interpretativo.
Ora, se la tendenza è quella di esserne semplicemente
a favore abbracciandolo, o contraria, denigrandolo, il Convegno abbisogna di qualche chiarimento in più. E sarebbe bene
che ciò fosse fatto in primo luogo da parte mia, che affermo convintamente, che
il giusto mezzo risiede tanto nell’accoglierlo quanto nel rifiutarlo, per
aspetti e derive differenti.
Non perdiamo di vista che vi è necessità di affrontare
questi temi fuori da ogni retorica o strumentalizzazione possibile e che quanto
più ha ragion d’essere l’informazione, resta un dato soltanto: ovvero quello
della completa dipendenza in cui vivevano le donne non solo fino a un paio di
secoli addietro, ma addirittura sino allo scorso e agli albori di questo.
«Le donne si trovano dovunque a vivere in
questa deplorevole condizione: per difendere la loro innocenza, eufemismo per
ignoranza, le si tiene ben lontane dalla verità e si impone loro un carattere
artificioso, prima ancora che le loro facoltà intellettive si siano
fortificate. Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro
della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia
dorata, contenta di adorarne la prigione. Gli uomini possono scegliere attività
e occupazioni diverse che li tengono impegnati e concorrono inoltre a dare un
carattere alla mente in formazione. Le donne invece (ieri come oggi) costrette
come sono a occuparsi di una cosa sola e a concentrarsi costantemente sulla
parte più insignificante di se stesse, raramente riescono a guardare al di là
di un successo di un’ora. Ma se il loro intelletto si emancipasse dalla
schiavitù a cui le hanno ridotte l’orgoglio e la sensualità degli uomini, insieme
al loro miope desiderio di potere immediato, simile a quello di dominio da
parte dei tiranni, allora ci dovremmo sorprendere delle loro debolezze»
Sono parole che sembrano scritte oggi, invece sono di Mary Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman,
1792. Che bene chiariscono la necessità
e l’urgenza - oggi più di ieri - di Rilanciare adeguatamente occasioni per
veicolare una rappresentazione del femminile - tanto più nella corretta
ricostruzione storico letteraria e sociologica, anche delle donne meridionali - che si connota secondo natura femminile a dover conquistare, al pari di tutte altre prima
di ogni cosa la libertà.
Dunque, quella di offrire una rappresentazione
femminile, corretta, giusta e adeguata magari che abbia anche alla base il
sentimento, passa per molte altre cose
che il convegno non ha declinato e come nelle parole gomezdaviliane rimanda ad
una perla di saggezza: «La libertà non si
percepisce se non come fatto interno; è la forma che assume per il soggetto
ogni atto che percepisce come proprio; è la forma stessa della soggettività»;
è dunque una occasione troppo preziosa, per essere sprecata tanto più che
sempre come lo stesso Gómez Dávila chiarisce
– «La libertà non è la meta della storia, ma la materia con cui essa lavora» –
e si sa, la forma non sussiste senza
contenuto.
Ho avvertito questa esigenza di puntualizzazione
perché come donna prima che altro, mi ritengo accorta e interessata a saper
rispondere, diversamente da ciò che è forse stabilito a priori più o meno
volontariamente dalla storia e da certe interpretazioni banalizzanti di certi
finto dotti che non si possono proprio più proporre con fini oltre l’onestà
intellettuale.
Perché allora non provare a convincere delle
nefandezze di certe chiavi di lettura stereotipate e parcellizzate? Perché la
donna meridionale è e deve continuare ad essere riproposta nella storia
attraverso rappresentazioni sminuzzate che non le rendono giustizia, con
criteri rappresentativi che ricalcano una rappresentazione non veritiera o
grondante di stereotipi banali e tutt’al più grotteschi; i quali più che duri a
morire, ho il sospetto che siano riproposti da uomini per uomini o magari anche
per donne persuadibili, che si ha tutto l’interesse a non voler convincere del
contrario?
Perché
l’intellighenzia e questi studiosi - tanto più perché cattedratici - Non intendono davvero fare i conti con questo
fatto interno della rappresentazione
del femminile e rifuggono davvero dal voler rendersi interpreti dell’istanza di
un’inversione di rotta, ribaltando anche simbolicamente questa rappresentazione
povera e fuori tempo delle donne.
E’ evidente che
per essi tutte le battaglie culturali su questi temi si sono trasformate in una
ossessione totalitaria rendendoli ancora incapaci di indicare “un altro mondo
possibile per la rappresentazione del femminile”.
Liberarsi significa non vedere più buone ragioni per sostenere un certo vincolo, e
forse la storia delle donne è il processo di rifiuto e accantonamento di questi
vincoli ingiustificati. La liberazione, è sempre liberazione da qualcosa di ingiusto, è propriamente il
gesto dialettico del pensiero che conosce, e non accetta più le condizioni
inique in cui dimorava. Ma il togliere una condizione o un insieme di
condizioni, non è affatto togliere condizioni tout court, o solo sostituirle,
sostituire cioè quell’insieme con alcune altre migliori.
La risposta a quei significati e a quella rete di
relazioni, discutibilmente rappresentate, non è indifferente al fine che se ne
è conseguito: solo se la risposta, la
scelta è buona, faremo del bene. Le
ragioni che portarono alla nascita delle voci femminili sono nobili, lo è molto
meno il seguito che si sceglie di volere o non volere ereditare e
rappresentare.
Forse un tempo le donne si ribellavano a qualcosa di
falso e oppressivo; quelle odierne si ribellano a tutto ciò che va contro
qualunque cosa passi loro per la testa come erronea e sbagliata ivi comprese le
rappresentazioni lette senza alcuna nuova chiave immaginativa.