giovedì 29 marzo 2018

“Onore e Dignità della Donna Meridionale” Arena e Donne, due rette parallele.



Mutazione totalitaria con le tare della società liquida postmoderna, applicate al femminile.
di Angela Maria Spina




L’enucleazione delle regole di calcolo di un sistema simbolico - come per il gioco degli scacchi -  prevede come è noto di stabilire un sistema (convenzionale o non) per calcolare le possibili combinazioni, dalle quali è determinata l’articolazione della struttura razionale della realtà in generale, tanto da poter far prevedere domande talvolta bizzarre o speciose come quelle che mi è capitato di pormi  in occasione di un serio appuntamento culturale della mia città : “che cos’è quel convegno?” “Quale rapporto c’è tra i temi, gli sviluppi e le sue proprietà rappresentative?” In definitiva che rapporto sussiste tra ciò che taluni chiamano filosoficamente l’identità di razionale e reale, che il sistema hegeliano anche con qualche reminiscenza scolastica avrebbe dovuto pur insegnarmi. 

Tant’è che l’Amministrazione Comunale Città di Acri ed i prodi tecnici della cultura di cui attualmente si fregia ed avvale, hanno organizzato giorno 27 marzo c.a. il Convegno sul tema “Onore e Dignità della Donna Meridionale”. Tutti loro avrebbero però almeno potuto tenerlo in debita considerazione questo ragionamento, poiché ben inteso la ragione è (sempre) mezzo di elaborazione della rappresentazione della realtà.  Quella del convegno in verità è stata sciatta, pressapochista e irrispettosa di fonti, testi e contesti. Gli ospiti infatti si sono posti di fronte a tutto questo, più che per comprendere, definire e arricchire i temi proposti al pubblico, scegliendo invece di procedere esattamente come farebbero due rette parallele.  

Ecco perché avverto irrefrenabile il bisogno di giudicarne aspetti prevalentemente negativi, visto che i pochi positivi attengono esclusivamente a quel cammeo di studenti della IV A del locale liceo classico, ed a certe docenti, troppo poco presi in considerazione .

Convegno il cui esito è a mio modesto parere è stato deplorevole. Non certo per le intenzioni, che si spera almeno quelle, si possano fare salve, rispetto alla penosa rappresentazione, parcellizzante e confusa resa dagli studiosi sulla donna meridionale, punto di contatto tra ciò che è stato e quello che invece avrebbe potuto essere, tra realtà e possibilità, in quella che è parsa rappresentata come una ruptile potenzialità espressiva. Con un rituale al quale siamo ormai già saturi da tempo, si è dato corso all’enucleazione stereotipata, asfittica e ripetitiva di vecchie interpretazioni del femminile, ormai indigeste,  citate con troppa parsimonia e ancor più colpevolmente declinati attraverso una penuria di contenuti tutti per lo più contriti, da far invidia all’università di Facebook; che non solo non hanno reso giustizia e degna rappresentazione della donna meridionale del passato, ma neanche dato impulso all’elaborazione del tema per quelle giovani donne contemporanee studentesse acresi, alla cui presenza si è consumato il misfatto che è tanto più grave quanto più deplorevole.   Un femminile rappresentato come un vuoto del Desiderio proteso al Passaggio, il cui dono non è mai assolutamente gratuito; in quella che mi è apparsa - se mi si concede la licenza - come una sorta di liturgia in lingua materna, declinata in chiave di negativo, proprio per la prevalenza del NON attribuito alla rappresentazione della donna in generale ed alla sua simbologia interpretativa; non più che come un buco dell’essere nichilistico, dove il male era e resta un problema e il niente dell’essere invece, non è neanche per un momento un passaggio verso la verità o la giustizia della sua presenza. Forse che i cattedratici abbiano smarrito il senso della realtà e dei temi per sopraggiunti limiti d’età?  Non oso immaginarlo, da parte di così grande gotha. 

Il Tema  del convegno invece, tanto complesso e variegato, sia pure non distinguendosi per originalità  e ideazione singolare - posso affermarlo senza timore di smentita - è stato un classico aborto embrionale delle migliori intenzioni, restate tutte fulgidamente inespresse, vittime della lettura maschilista, retrograda e per nulla accattivante, che guardano alla donna in modo compiaciuto ed ammiccante, figura servile, effettivamente oscurata, magari anche sopravvalutata in taluni contesti e sempre al peggio, come presenza intermittente priva di saper far scorgere quello che invece c'è oltre la superficie. 

Neanche la nemesi incombente della modernità, dopo il Capitalismo e Neoliberismo che si sono giovati della cosiddetta morte apparente del femminismo, che pure ha provato a far intravvedere diverse chiavi di lettura ed interpretative del femminile; sono serviti da lezione; forse perché il feticismo delle merci, come lo chiamava Marx, cioè il bieco consumismo, basato proprio sulla possibilità di soddisfare tutti i bisogni indotti che ci vengono inoculati, (preferibilmente al netto di contraddizioni!) continua a rilanciare e se possibile abbattere e demolire, la fastidiosa voce del vero talento del femminile. Hai visto mai, dovesse cominciare ad inoculare ed imporre limiti o dubbi allo straripante pensiero unico maschile? 

Insomma, per spezzare l’autoritarismo, del pensiero unico dominante e della visione unica maschile che continua ancora a volerci proporre interpretazioni e rappresentazioni improprie del femminile, occorre certo spazzare via il principio di autorità maschile e con esso gli unici freni che ne inibiscono il trionfo (solo tutto maschile) incontrollabile, anche in situazioni grottesche come quelle a cui un pubblico sofferente ha avuto modo di assistere durante i lavori.

Mi domando: quali letture abbiano mai svolto alla preparazione del tema e quale elaborazioni del convegno siano state immaginate, perché francamente a me è sfuggito, sicuramente per mia imperizia. Trasecolare udendo relazioni tanto superficiali, è stata cosa sin troppo ovvia, per un risultato tanto oltraggioso, interessati come sono stati i relatori, ad offrire una rappresentazione delle donne sconnessa, frammentata e claudicante, che nulla a che vedere né con l’onore, né con la dignità ed ancor meno con le donne, specie se meridionali.

Le donne meridionali rappresentate dal lume d’ingegno di tale calibro accademico: Lombardi Sartiani, Scafoglio, Ranisio, (i quali è indubbio che per la circostanza abbiano ceduto tutti al piglio di arrabbattare) nel novero di un bagaglio esponenziale di autorevolezza indiscussa, che ai primi, questo territorio risorgimentale paduliano, ha sempre riconosciuto; e che per troppo tempo ha anche foraggiato con iniqua impudenza ed imperizia, attraverso quella strana vacca da mungere del buon caro abate acritano, al quale a piene mani tutti hanno attinto con pubblicazioni ed onorari. Adesso francamente suonano veramente come scordate rispetto agli accordi musicali.

Gli studiosi convocati per l’importante occasione, hanno dunque tutti inteso parcellizzare e sperperare con i loro interventi, un’occasione che -anche se impropriamente spesa in nome di Giuseppe Antonio Arena - poteva essere occasione preziosa per cominciare davvero a voler intraprendere una interessante strada, su questi temi.  L’intera storia del pensiero è popolata di donne, un lavoro apparentemente di archeologia del pensiero femminile, sommerso o dichiarato.

Un colpevole mancato recupero di testi, contesti, fonti bibliografiche che urlano di donne isolate, tagliate fuori dalla cultura ufficiale, ma protagoniste sempre di quella ufficiosa, in cui anche se donne sempre per lo più analfabete e nelle retrovie, erano e restano donne sempre collocate solo in secondo piano, all’ombra del peduncolo appassito.  Da tempo ormai l'ignoranza ostentata di tanti intellettuali italici, relativamente a temi per così dire “femministi” li riguarda direttamente, interroga le loro vite, piuttosto che la loro professione, la loro cultura, e soprattutto le loro teorie interpretative.  Forse sarebbe il caso di chiedergli perché ne parlate sempre in questi medesimi termini di quarant’anni or sono? Che cosa avete aggiunto con i vostri contributi di cattedratici, a ciò che non ci avete già detto o a quello che nel frattempo abbiamo scoperto altrimenti?

Chi sarà la divinità che le fecondava queste donne della storia, che le riempiva, che le rendeva felici in quanto maternamente capaci di produrre, pur non avendo identità libera e propria? Qual’è la reale potenza storica del femminile sul meridione del passato e del presente e quale dovrebbe invece essere quella del futuro?  E’ una potenzialità e tale rimane, di chi le affida l’anima e come nella dialettica del partorientepartorito tra anima e Dio, la prima è sempre reversibile, la seconda invece no; così come anche quella del possibile-impossibile, che nel pensiero toppo arrogante e presuntuoso, si rovescia come una clessidra.

Sarà forse che la concezione di uno Spirito continuamente spinto in avanti sulla strada della verità, grazie alla constatazione dell'inadeguatezza dei risultati fino ad ora raggiunti, è magari destinata inevitabilmente a fallire ancora, proprio perché - ciò che intendo qui rappresentare come principio infinito -  dovrebbe per lo meno servire ad animare e ordinare la realtà, almeno su questi temi a me molto cari; che invece sento ancora riproposti alla stessa forma dei loro vecchi interventi.  Mentre nel frattempo invece la realtà “razionale” è dinamismo, sviluppo, progresso, anche interpretativo. 

Ora, se la tendenza è quella di esserne semplicemente a favore abbracciandolo, o contraria, denigrandolo, il Convegno abbisogna di qualche chiarimento in più. E sarebbe bene che ciò fosse fatto in primo luogo da parte mia, che affermo convintamente, che il giusto mezzo risiede tanto nell’accoglierlo quanto nel rifiutarlo, per aspetti e derive differenti. 

Non perdiamo di vista che vi è necessità di affrontare questi temi fuori da ogni retorica o strumentalizzazione possibile e che quanto più ha ragion d’essere l’informazione, resta un dato soltanto: ovvero quello della completa dipendenza in cui vivevano le donne non solo fino a un paio di secoli addietro, ma addirittura sino allo scorso e agli albori di questo.

  «Le donne si trovano dovunque a vivere in questa deplorevole condizione: per difendere la loro innocenza, eufemismo per ignoranza, le si tiene ben lontane dalla verità e si impone loro un carattere artificioso, prima ancora che le loro facoltà intellettive si siano fortificate. Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata, contenta di adorarne la prigione. Gli uomini possono scegliere attività e occupazioni diverse che li tengono impegnati e concorrono inoltre a dare un carattere alla mente in formazione. Le donne invece (ieri come oggi) costrette come sono a occuparsi di una cosa sola e a concentrarsi costantemente sulla parte più insignificante di se stesse, raramente riescono a guardare al di là di un successo di un’ora. Ma se il loro intelletto si emancipasse dalla schiavitù a cui le hanno ridotte l’orgoglio e la sensualità degli uomini, insieme al loro miope desiderio di potere immediato, simile a quello di dominio da parte dei tiranni, allora ci dovremmo sorprendere delle loro debolezze»  

Sono parole che sembrano scritte oggi, invece sono di Mary Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman, 1792.  Che bene chiariscono la necessità e l’urgenza - oggi più di ieri - di Rilanciare adeguatamente occasioni per veicolare una rappresentazione del femminile - tanto più nella corretta ricostruzione storico letteraria e sociologica, anche delle donne meridionali -  che si connota secondo natura femminile a dover conquistare, al pari di tutte altre prima di ogni cosa la libertà.

Dunque, quella di offrire una rappresentazione femminile, corretta, giusta e adeguata magari che abbia anche alla base il sentimento,  passa per molte altre cose che il convegno non ha declinato e come nelle parole gomezdaviliane rimanda ad una perla di saggezza: «La libertà non si percepisce se non come fatto interno; è la forma che assume per il soggetto ogni atto che percepisce come proprio; è la forma stessa della soggettività»; è dunque una occasione troppo preziosa, per essere sprecata tanto più che sempre come lo stesso Gómez Dávila chiarisce – «La libertà non è la meta della storia, ma la materia con cui essa lavora» – e si sa, la forma non sussiste senza contenuto. 

Ho avvertito questa esigenza di puntualizzazione perché come donna prima che altro, mi ritengo accorta e interessata a saper rispondere, diversamente da ciò che è forse stabilito a priori più o meno volontariamente dalla storia e da certe interpretazioni banalizzanti di certi finto dotti che non si possono proprio più proporre con fini oltre l’onestà intellettuale. 

Perché allora non provare a convincere delle nefandezze di certe chiavi di lettura stereotipate e parcellizzate? Perché la donna meridionale è e deve continuare ad essere riproposta nella storia attraverso rappresentazioni sminuzzate che non le rendono giustizia, con criteri rappresentativi che ricalcano una rappresentazione non veritiera o grondante di stereotipi banali e tutt’al più grotteschi; i quali più che duri a morire, ho il sospetto che siano riproposti da uomini per uomini o magari anche per donne persuadibili, che si ha tutto l’interesse a non voler convincere del contrario?

 Perché l’intellighenzia e questi studiosi - tanto più perché cattedratici -  Non intendono davvero fare i conti con questo fatto interno della rappresentazione del femminile e rifuggono davvero dal voler rendersi interpreti dell’istanza di un’inversione di rotta, ribaltando anche simbolicamente questa rappresentazione povera e fuori tempo delle donne.  

 E’ evidente che per essi tutte le battaglie culturali su questi temi si sono trasformate in una ossessione totalitaria rendendoli ancora incapaci di indicare “un altro mondo possibile per la rappresentazione del femminile”.

Liberarsi significa non vedere più buone ragioni per sostenere un certo vincolo, e forse la storia delle donne è il processo di rifiuto e accantonamento di questi vincoli ingiustificati. La liberazione, è sempre liberazione da qualcosa di ingiusto, è propriamente il gesto dialettico del pensiero che conosce, e non accetta più le condizioni inique in cui dimorava. Ma il togliere una condizione o un insieme di condizioni, non è affatto togliere condizioni tout court, o solo sostituirle, sostituire cioè quell’insieme con alcune altre migliori. 

La risposta a quei significati e a quella rete di relazioni, discutibilmente rappresentate, non è indifferente al fine che se ne è conseguito: solo se la risposta, la scelta è buona, faremo del bene.  Le ragioni che portarono alla nascita delle voci femminili sono nobili, lo è molto meno il seguito che si sceglie di volere o non volere ereditare e rappresentare. 

Forse un tempo le donne si ribellavano a qualcosa di falso e oppressivo; quelle odierne si ribellano a tutto ciò che va contro qualunque cosa passi loro per la testa come erronea e sbagliata ivi comprese le rappresentazioni lette senza alcuna nuova chiave immaginativa.