Angelo Gaccione, scrittore acrese, nel 1993 piombò
sulla Storia di Acri (Roccabruna) in particolare, e del Meridione in generale, con
questo capolavoro, che racchiude una raccolta di racconti sferzanti come la grandine
inaspettata a maggio.
Racconti di misfatti e abusi di potere, di
angherie di arroganti signorotti depravati, di atroci
vendette, di ignoranza grassa, di fanatismi
religiosi, che sembrano “per la loro estremità, per il loro affollamento o concentrazione
di male, rovesciarsi dalla realtà alla irrealtà, dalla storia alla
favola". Dalla prefazione di Vincenzo Consolo.
Il libro incontrò l’osteggiamento
degli eredi dei signorotti, che si riconobbero in alcune storie, nonostante gli
pseudonimi, e degli arricchiti parvenu che ne mutuavano ancora i laidi metodi di
arbitrio e sopraffazione.
Pertanto il capolavoro di Gaccione,
oltre all’alto valore letterario, si presenta ancora come una denuncia, al
tribunale incorrotto e incorruttibile dell’Opinione Pubblica, delle
scelleratezze di cui è capace di macchiarsi chi si nutre dell’ingordigia del
potere.
UN
SOGNO NERO E SPIETATO
Di Tomaso
Kemeney
La narrazione
cronachistica, in questo libro considerevole, si dipana per un mosaico di
quindici racconti che finiscono per formare momenti memorabili, nonché
tremendi, della storia di Roccabruna. La scrittura di Angelo Gaccione assume le
dimensioni di una narrazione storica quando gli eventi vengono focalizzati
attraverso la prospettiva di un narratore onnisciente, come avviene, per
esempio, per il racconto “L’incendio di Roccabruna”, racconto che fornisce anche
il titolo alla serie dei testi. Assume, invece, le condizioni di un racconto
riferito quando la focalizzazione risulta esterna, come si nota in “I
giustizieri” e “Il sacrilegio”.
Il narratore offre la sua voce all’autore nel caso di “Il documento
rubato”, essendo il testo a lui ispirato da altri scritti, come da “Animali
delinquenti (1892)”.
Il variare del punto di vista narrativo non implica variazioni della
dominante “terrifica”: si evocano decapitazioni, prepotenze, fattorie
incendiate, animali avvelenati, persone scorticate vive, sacrilegi di anarchici
rivoltosi, faide mortali tra famiglie gentilizie, la bramosia di prìncipi,
stragi di roccabrunesi, ribelli segati in due, angioini e aragonesi nello
sfruttare le terre calabresi, tradimenti, delitti dettati dalla gelosia.
I roccabrunesi morivano di fame sia sotto i feudatari borbonici che sotto i
contro-feudatari giacobini. La serie delle violenze perpetrate dai potenti, le
vendette degli sfruttati, finisce per raffigurare un panorama terrifico. Nulla
pare più impossibile che amare generosamente e comportarsi civilmente in questo
circo infernale.
Dalle focalizzazioni del narratore s’irradiano raggi di pura lucidità
tragica in pagine simili a un caleidoscopio fondato su interminate
trasgressioni contro la dignità umana. Dalle parole di Angelo Gaccione tutto
ciò che non è avvilente pare falso, vale a dire letteratura.
Questo libro evoca il vuoto morale che abita gli uomini: qui castelli e
tuguri emanano lo stesso odore di pompe funebri. Pare di vedere le labbra del
narratore tremare di sdegno nell’evocare la condizione umana, forse non solo a
Roccabruna, in Calabria. A meno che non si interpreti, la potente evocazione di
fatti storicamente avvenuti o inventati, come la trascrizione di un sogno nero,
di un incubo frenetico.
Angelo Gaccione
L’incendio di Roccabruna
Di Felice Edizioni 2019
Pagg. 128 € 12,00