sabato 30 settembre 2017

IL PRINCIPIO SUPREMO DELLA LAICITA’ DELLO STATO



Un principio ignorato dalle pubbliche amministrazioni



“Lo Stato non può avere nessuna religione ufficiale o tutelata più (o meno) incisivamente delle altre, ed i pubblici poteri devono astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale”. Figuriamoci finanziarla...




Il principio di laicità dello Stato non venne esplicitamente enunciato nella Carta costituzionale del 1948: esso è stato ricavato in via ermeneutica dalla Corte Costituzionale: la laicità costituisce un “principio supremo” dell’ordinamento costituzionale e rappresenta “uno dei profili della forma di Stato” delineati dalla Costituzione italiana.


Secondo la Corte Costituzionale, il principio di laicità implica un regime di pluralismo confessionale e culturale e presuppone, quindi, innanzitutto l’esistenza di una pluralità di sistemi di valori, di scelte personali riferibili allo spirito di pensiero, che sono dotati di pari dignità e nobiltà.


Detto principio, inoltre, si pone come condizione e limite del pluralismo, nel senso di garantire che la sfera politica debba essere neutrale di fronte ad eventuali conflitti tra valori religiosi e che neutrale debba rimanere nel tempo.


Infine il concetto di laicità implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.


Gli elementi che strutturano e costituiscono il “nucleo duro” del concetto giuridico di laicità vengono riassunti in quattro obblighi.

Da essi la dottrina ha dedotto che la Repubblica italiana in quanto Stato laico:


1) non può avere nessuna religione ufficiale o tutelata più (o meno) incisivamente delle altre, ed i pubblici poteri devono astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale;


2) è chiamata a garantire la libertà di coscienza, di pensiero e di religione di tutti gli individui, l’uguaglianza di tutti i soggetti senza distinzione di religione nonché l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge;


3) si dichiara totalmente incompetente a valutare i principi professati da una determinata confessione religiosa;


4) deve rispettare tutte le opzioni religiose e tutti i comportamenti che da tali opzioni discendano, purché questi ultimi siano frutto di una libera scelta e non vadano a configgere con altre libertà costituzionalmente garantite che siano ritenute preminenti ed inderogabili.


Il principio di laicità, in quanto “principio supremo”,
non si limita a costituire un parametro di legittimità delle leggi ordinarie, degli atti aventi forza di legge e di tutte le altre fonti sub-legislative, ma si spinge sino ad indicare il canone in base al quale vagliare la legittimità delle stesse leggi costituzionali e delle leggi di revisione della Carta fondamentale, poiché si colloca in una posizione gerarchicamente superiore a queste.



Questo principio supremo viene continuamente ignorato e trasgredito dalle pubbliche amministrazioni.
Viene ignorato in particolare da Enti, come i Comuni e le Regioni, specie se amministrati da giunte di sinistra (o sedicenti tali).

Per restare a casa nostra, istituire un Assessorato alla Santificazione di un beato, non sarebbe venuto in mente nemmeno ad un sindaco democristianissimo come Pierino Buffone…

Sarà che non c’è più la sinistra laica e anticlericale di una volta, da quella di Garibaldi a quella di Salvemini, da quella di Bordiga a quella di Togliatti…. la sinistra “mangiapreti”

 Sarà che, da quando è nato lo Stato Italiano, è sempre stata la sinistra (o sedicente tale) a sottoscrivere gli accordi con lo Stato Vaticano: la sinistra rivoluzionaria di Mussolini, quella riformista di Craxi, quella all’acqua di rose del rottamatore.

 Fatto sta che questo Stato, in contraddizione con i suoi stessi princìpi, assume ogni giorno di più, le caratteristiche di “uno Stato confessionale, cioè piegato alla morale esclusiva della Chiesa” (Gavino Angius, senatore Pd, fuori dal coro).






domenica 24 settembre 2017

LETTERA APERTA AL SINDACO DI ACRI E ALL’ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE





“Noi Calabresi siamo, in genere, ignoti a noi stessi; noi siamo i primi a disconoscere i pregi non comuni della terra nostra…” Francesco Capalbo, “Il poema del bosco”, 1916.


IL PATRIMONIO COMUNALE DORMIENTE
Nel 1864 Vincenzo Padula scriveva sul Bruzio: “Egli è certo un cattivo figliuolo chi ignora il numero, la natura, i debiti, i crediti e’l prodotto dei fondi appartenenti alla sua famiglia; ed è un cattivo cittadino chi trascura di conoscere i beni, i bisogni, ed i pesi del Comune o dello Stato ond’è parte.”

Purtroppo, continuava ironico e disperante il Padula, è assurdo oggi pretendere che il popolo – in mezzo al quale abbondano i valentuomini cui l’intelligenza non manca - conosca il proprio territorio e che sia “fornito delle più elementari notizie che concernono le condizioni amministrative ed economiche del proprio Comune.”

Dopo più di 150 anni, nel nostro Comune non è cambiato nulla, i nostri luoghi sono sconosciuti alla quasi totalità di chi vi è nato e vi vive. Se non conosci un territorio forse puoi amarlo, ma non puoi pensare di sapere quali siano i suoi bisogni e di poterlo migliorare, valorizzare, promuovere, amministrare…

“La cognizione degli affari comunali era una specie di scienza occulta: pochi adepti ne sapeano qualche cosa e l’ignoranza degli altri cittadini agevolò furti e le usurpazioni, e tolse via la possibilità di denunciare quelle usurpazioni e di rivendicarle.”

E’ sempre il Padula nello stesso articolo pubblicato sul suo giornale. Il riferimento era alle grandi usurpazioni perpetrate in quei tempi dai proprietari terrieri e dai parvenu del nuovo Stato Unitario. Accanto a quelle, nel dopoguerra, sono state consumate una miriade di piccole usurpazioni ai danni del nostro Comune.



Ad Acri le persone che conoscono il territorio comunale nella sua globalità, si possono contare sulle dita di una mano (di un falegname distratto, direbbe mio figlio).

Uno di questi è il Prof. Francesco De Marco.

Il prof. De Marco non è un ingegnere, né un geometra, né un agronomo, ma per la versatilità del suo intelletto e per la sua sete di conoscenza si potrebbe definire la memoria geografica, nonché storica, del Comune di Acri.

In virtù di questa sua peculiarità fu invitato dalla passata amministrazione, nel febbraio 2016, per un breve periodo di collaborazione – gratuita – finalizzata ad uno studio del Patrimonio Comunale, del quale nemmeno i pochi “adepti delle scienze occulte” presenti nel nostro Ente, ne sapevano stimare la reale entità.

Il Prof. De Marco, in un mese di duro lavoro, preciso, rigoroso e ponderato, giunse a redigere una relazione dettagliata del Patrimonio Demaniale Comunale che portò alla scoperta di una sconosciuta, fino ad allora, ricchezza patrimoniale dormiente, che avrebbe potuto e dovuto ispirare, suggerire e veicolare azioni amministrative tendenti a renderla produttiva.

Il monitoraggio, in particolare del patrimonio silvo-pastorale, dove regnava una grande complessità in termini catastali, fu effettuato dal Professore con un lavoro diligente e minuzioso di recupero dei dati presso il catasto e di integrazione e aggiornamento dello stato del patrimonio storico comunale che da sempre giaceva indisturbato in chissà quale armadio del nostro Comune.

Il Professore ha effettuato centinaia di visure catastali ed ha individuato, attraverso i fogli di mappa, le aree del territorio dove insistono le particelle. Ha scorporato le particelle di cui il Comune ha diritto di proprietà assoluta dalle particelle in cui gravano vincoli di livellario o enfiteusi.

Ha raggruppato le particelle che insistono nella stessa area geografica per meglio evidenziarne la superficie.

Insomma, dopo un incredibile e defatigante lavoro, il Professor De Marco presentò la sua relazione al Sindaco, alla Giunta e ai responsabili di settore.

La relazione venne recepita con entusiasmo e con tanti ringraziamenti da parte degli interlocutori amministrativi al punto che… finì, per inconfessabili e inconfessati motivi, probabilmente nel medesimo armadio adibito al coma vegetativo della memoria storica acrese.

Poiché l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Pino Capalbo sembra mandare chiari segnali di interesse verso la valorizzazione e la promozione del nostro territorio – l’adesione alla Fondazione MaB è uno di questi –  propongo, con questa lettera aperta, al Signor Sindaco e all’Organo Straordinario di Liquidazione, di voler prendere in considerazione il pregevole studio portato a termine dal Prof. De Marco perché potrebbe rappresentare uno strumento di reperimento di risorse utilissimo in questo momento di gravose difficoltà finanziarie per il nostro Ente.



BIGNAMI DEL PATRIMONIO COMUNALE DI ACRI

secondo il Prof. Francesco De Marco (e secondo il Catasto).

Il patrimonio del nostro demanio comunale può essere suddiviso in tre gruppi.

Patrimonio Comunale dei Grandi Fondi: Galluzzo-Gallice-Varrise, 482 ettari. Su di essi sono stati concentrati un piano di assestamento nel lontano 1966 e un piano di taglio produttivo nel 2014.

Demanio Comunale del Fondo Pietramorella. 736 ettari.

Da decenni i terreni della “Montagna di Pietramorella” sono stati occupati e quotizzati per gli usi civici. Nel 2014 l’Amministrazione comunale ha pubblicato un avviso di alienazione di questo patrimonio disponibile, riservato ai possessori dei quozienti, a fronte di un valore di vendita abbastanza favorevole. Alcuni atti di acquisto e frazionamento sono già avvenuti, ottenendo così la possibilità di sistemazione giuridica e catastale agli occupanti, buona parte delle quote dovrebbero essere presto acquistate, non essendovi per i possessori alcun’altra strada diversa dalla legalizzazione

Patrimonio Demanio Comunale dei Piccoli Fondi (questo sconosciuto).

Su di esso si è concentrato il lavoro di ricerca del Professore.

Disseminato su un vasto territorio, con i suoi 748 ettari e diverse centinaia di particelle, rappresenta un forte potenziale economico per il Comune.

Molte particelle nel tempo hanno vissuto momenti di occupazione. Alcune ingiustamente illegali per disattenzioni amministrative e tante complicità. Molte altre con contratti agrari - enfiteusi e livellario - ma tutte senza che il Comune, legittimo proprietario, abbia mai incassato una lira o un centesimo per la locazione.

Gli amministratori di oggi dovrebbero assumersi il delicato compito di verificare la situazione esistente e agire con azioni amministrative mirate e determinate per riappropriarsi dell’enorme ricchezza patrimoniale (dormiente) da cui potrebbe trarre beneficio la situazione finanziaria del nostro Comune.

Se gli amministratori di ieri si prendevano il lusso di “distrarsi”, oggi occorre essere attenti e responsabili, e  rivendicare le usurpazioni”.

Nella speranza di aver segnalato alle SS.LL. uno strumento utile di reperimento di risorse, ed un competente referente esperto in materia, porgo

Cordiali Saluti.

Salvatore Ferraro






sabato 2 settembre 2017

INCENDI. LA GRANDE RESPONSABILITA’ DEI COMUNI.




 Di fronte alla violenza e allo stupro perpetrato quotidianamente ai danni di Madre Natura c'è solo da incazzarsi... e ognuno si sfoga a modo suo. E chi ci càpita ci càpita.
In due mesi migliaia di incendi in Calabria hanno cancellato 30.000 ettari di territorio. E’ andato distrutto il 10% dell’intero patrimonio boschivo, con tutti i danni diretti e indiretti correlati.
Una catastrofe ambientale che non ha impedito a quegli “impediti” che occupano indegnamente le poltrone del Consiglio Regionale di andarsene in ferie per 43 giorni (dal primo agosto all’11 settembre). Un Consiglio Regionale da recordman di fannullonismo: la bellezza di sei Consigli convocati in otto mesi, per un totale di 20 ore di aula,scatrejerebbero” di fatica dei tori figuriamoci degli “impediti”. Visto che un Consigliere prende minimo intorno a 20.000 euro al mese, cadauno hanno guadagnato 8.000 euro all’ora. Forse nemmeno Neymar … 
Vabbè, a fare in quel posto vi ci manderò in un prossimo articolo, questo ha un altro oggetto.
Anche se resta il fatto che il Presidente della Regione Oliverio, la sua giunta e il Consiglio tutto, non hanno mosso un dito di fronte ad una emergenza così catastrofica. La tutela del territorio non è affare loro, anche perché entrerebbero in conflitto con chi il territorio lo devasta - tagliando abusivamente e bruciando boschi - e li vota. Ma la prima loro preoccupazione è il consenso, non importa la provenienza. I voti, come la pecunia, non puzzano.
Abbiamo scritto un po’ tutti delle responsabilità che, al netto dei piagnistei di quanti non amano informarsi, risalgono dai più alti vertici dello Stato, fino ai singoli cittadini che dovrebbero avvertire il senso dello stato, o senso civico, e collaborare.
La sciagurata legge Madia, il ministro che non ne ha azzeccata una, che ha smantellato il Corpo Forestale dello Stato, unico corpo dotato di uomini e mezzi capaci e competenti in materia di prevenzione e spegnimento degli incendi. Corpo Forestale al quale erano già stati sottratti compiti da parte delle Regioni. Come si fa a non pensare che dietro a questo smantellamento non vi sia un disegno ordito dai malaffaristi che stanno dietro la distruzione dei boschi…
Poi abbiamo le centrali a biomassa, che non solo inquinano con i loro fumi e le loro ceneri, ma sono i mandanti dei predatori delle nostre foreste che sottraggono salute a noi e al nostro ambiente e che creano danni irreparabili al paesaggio e al patrimonio naturale.
Qualcuno, mal informato dice che c’è bisogno di una legge… che Oliverio ha preparato una legge… che forse no… potrebbe rivederla se...
Palle (nomen omen: Palla Palla). Non esiste uno Stato che abbia più leggi dell’Italia. In tema ambientale siamo i primi in assoluto. In materia di incendi poi siamo all’avanguardia. Ci sono le leggi e basterebbe solo applicarle, e farle rispettare da parte di chi ne ha il compito/dovere. Ma non è mai così. Ecco un esempio.

Le responsabilità dei Comuni.
Allego a titolo esemplificativo un’ordinanza che tutti i Comuni devono obbligatoriamente emettere nella primavera di ogni anno. Pochi Comuni ottemperano, quasi nessuno destinatario le rispetta, quasi nessun comando incaricato le fa rispettare.

L’ordinanza dell’8 maggio 2014, sollecitata dal sottoscritto (sì, mi autoreferenzio!) ed emessa da un valente (non ironico) responsabile di settore (negli ultimi due anni purtroppo c’è stata una crisi mnesica),

VISTO tutti quei Decreti Legislativi e Leggi dello Stato elencati in premessa, fa obbligo
“Ai proprietari e/o conduttori di aree agricole non coltivate, di aree verdi urbane incolte, ai proprietari di terreni edificabii, ecc., di effettuare i relativi interventi di pulizia a propria cura e spese dei terreni con la creazione di fasce di pulitura di larghezza minima di 10 metri e di almeno venti metri lungo le strade che confinano con i boschi”.
Avete letto bene. Venti metri lungo le strade che confinano con i boschi! Tenuto conto che quasi tutti gli incendi partono dal bordo delle strade, provate ad immaginare quanto sia fondamentale nella prevenzione degli incendi il rispetto di queste disposizioni!
Il problema è che, mentre nei Comuni del Trentino o del Veneto, queste ordinanze vengono rispettate e fatte rispettare, da noi, quando vengono emesse, non le rispetta quasi nessuno. Né tantomeno viene in mente a chi le deve far rispettare di utilizzare tutti i propri poteri per persuadere chi se ne sbatte delle leggi e delle regole. E purtroppo l’unico mezzo di persuasione, per chi non ha senso civico, è quello che… te lo facciamo venire con una sanzione, che già 500 euro sono poche, ma l’anno prossimo, se non ottemperi, te la facciamo del doppio.
Ne oso chiedere - perché qualcun altro dovrebbe farlo - come mai non sono state emesse ordinanze sulla creazione di fasce di pulitura di recente.
Non oso chiede - perché qualcun altro dovrebbe farlo - a quella onesta e bella persona (non è ironico) che ha il comando della Polizia Municipale quante multe sono state elevate a quanti trasgressori.
Purtroppo viviamo nel paese del Bengodi, dove tutti gli amministratori del passato, del presente e forse de futuro, hanno fatto passare il messaggio e dato anche disposizioni di non vessare i cittadini contravventori della legge, dalle più gravi forme di abusivismo alle più banali trasgressioni di ordine ambientale, per il nobile motivo che riguarda la ricerca del consenso. E che rappresenta uno degli aspetti della degenerazione del sistema sociale di tutto il Sud in generale, e della nostra Regione in particolare: clientelismo, assenza di senso civico, mafie.
Poi ci sono anche motivi di opportunità, diciamo così, relazionale. Ricordo un brigadiere del Corpo di Polizia Municipale che alla mia domanda sul perché fosse così ridicolo l’introito proveniente dalle multe, mi rispose che lui, personalmente, da quando ne aveva fatta una e il sanzionato gli aveva tolto il saluto, non ne aveva fatte più.
Altra grande responsabilità del Comune negli incendi dei boschi la potete trovare, se non vi siete già sfastidiati di leggere, aprendo questo link