di Angela Maria Spina
È dunque verso l’aria che spiego sicure le
mie ali.
Non temo alcun ostacolo, né di
cristallo, né di vetro: fendo i cieli e mi ergo verso l’infinito. E mentre da
questo globo mi elevo verso altri cieli e penetro oltre attraverso il campo
etereo, lascio dietro di me ciò che altri vedono da lontano.
Giordano
Bruno, De l’infinito, universo e mondi.
Questa mia è dovuta a quanti hanno letto un mio ormai
non più recente scritto datato 29 marzo 2018
“Mutazione totalitaria con le tare
della società liquida postmoderna, applicate al femminile” - Onore e Dignità della Donna Meridionale -
Arena e Donne due rette parallele - a cui
in data 7 giugno 2018 sono stati apposti due squallidi e beceri commenti
del tutto deliranti, inviati parrebbe dagli esimi Proff. L.M. Lombardi Satriani
e D. Scafoglio.
Invece dall’alto della loro edotta scienza e
nell’eloquio dell’inconsistenza, hanno inteso scadere di tono e di misura, a
solo beneficio del mio sberleffo per la calunnia e pure la diffamazione sulla
mia persona.
Da una delle lezioni del mio miglior investimento
culturale (nel quale giovinetta mi imbattei come volenterosa e non poco
promettente studentessa di filosofia, in anni ohimè ormai non più troppo
recenti) appresi e fui nutrita del nettare di quel cotanto grande filosofo
messer Giordano Bruno; Lui sì - fu vera illuminazione - della mia formazione, quel monaco detto il
Nolano pregiato “accademico di nulla accademia” che ebbe il vero merito di darmi
una vera grande lezione nel farmi ben comprendere, tutta l’importanza della
invereconda asinità; della follia del mondo; e della vanesia negazione del buon
senso e della razionalità.
E dunque
anche per queste contrite circostanze, per l’accumulo e l’aggravio proprio
della boria di certi cattedratici pedanti, evoco questo mio faro, che tanto
inviso aveva la pletora insignificante dei boriosi, per “profumarmi” in cotanto
letame.
Dei
nominati Frulla, Poliimnio, Prudenzio, e dei Manfurio, ovvero di tutti quei
popolari personaggi-maschere bruniane, che oggi più di ieri impersonano laide o
fulgide memorie letterarie, mi pare di ravvisare nei tratti in - una attualità
presente disarmante - la mia recente storia, con tutte le inique banalità del
discredito, inanellate per arrecarmi danno, attraverso due commenti comunque
“deliziosi” che sul proscenio dell’ilarità nel mio divertimento, mi fanno
apparecchiare una dovuta mia risposta ad entrambi; ad esclusivo beneficio di
quanti avranno la pazienza di seguirne l’epilogo finale.
Quelle affermazioni contro la mia persona, non sono
solo cagionevoli che di giustificata causa di senescenza, quanto dell’insensata
opportunità, di chi le ha redatte e scritte, scegliendo di darsi tante, troppe
arie, di edotti cattedratici, per scivolare fuori misura nella boria arrogante
e sciocca, della sconsiderata offesa personale, imputabile, solo ad una
indefinita spudoratezza “senile-fanciullesca” che della finzione rende solo
vertiginoso l’illusionismo verbale e l’iperbole senza complessi o forse solo il
trucco furfantesco ed offensivo.
Palesemente riconoscibile un tratto della penna, molto
preoccupato ed adirato, da quanto io scrivo con totale disappunto. Per questo i
luminari scelgono di sottrarsi ad un civile e franco dibattimento, argomentato
con i miei stessi toni, di contenuti su dei contenuti, smarrendo così del tutto
il senno e la lucidità del caso.
E datosi che anch’io sono oramai un’attempata vecchia
signora, di una certa veneranda età, la quale a ben guardare sa destreggiarsi
alla meno peggio anch’Ella con i suoi poveri strumenti del non banale eloquio -
che è dimostrato - non è solo patrimonio
esclusivo dei cattedratici, ma anche talvolta di noi altri poveri meschini;
scelgo non altra via che questa nuova mia disamina in tratto di penna, per
beffeggiare nella circostanza, la risma dei miei non certo benevoli detrattori;
con l’ “Acescenza cattedratica" che preferirei veder piuttosto evaporare.
Faccio ammenda e puntualizzo, di non esser nemmeno
titolata quanto lor signori, che pur scrivono di me senza conoscermi, non
avendo neanche bene letto tutto ciò che ho scritto e prodotto e omettono
dolosamente di rappresentare quello che io ho invece decisamente
argomentato.
Le mie “povere” analisi
difatti, che riflettono anche un mio stile certo non minimalista, ma piuttosto
sostanziale, non certamente scevro da sbavature sentimentali ed orpelli
retorici, al tempo hanno portato e continuano a portare, un sì tale grande
fastidio, sin anche in personaggi tanto memorabili della loro stazza, come
portatori insani di disvalori di ingiustizia ed irrazionalità.
Tanto da
contestarmi di essere:
«totalmente
estranea al mondo della ricerca scientifica, non ha dimostrato in alcun modo di
avere una formazione professionale in tal senso, non avendo mai pubblicato un
suo libro, avendo solo investito, a parte l’insegnamento scolastico, il suo
tempo nella presentazione in Acri di libri altrui e non essendosi mai
sottoposta a nessuno dei tre livelli di concorsi accademici, che legittimano il
possesso di abilità e attitudini alla ricerca e quindi la capacità di esprimere
giudizi su prodotti scientifici.» (cit.)
Ben al di sopra delle righe e fuori dalle care pagine
dei libri stampati - perché quelle sono dei titolati, ed io risulto certamente
di nulla accademia - nella sensatezza e non nel delirio - dei cattedratici
senescenti, rendo allora giustizia ad una cosa sola: all’ignavia intellettuale
e morale perpetrata contro di me.
Sarei stata finanche qualificata come “irriverente”
proprio perché non titolata a poter esprimere un mio giudizio, io portatrice
sana solo della mia coscienza laica. Repellente a certa morale ipocrita del
perbenismo acritico, che proprio con la mia scrittura - e solo con quella - brandisco
l’arma della penna, che è modo e atto solo della mia conoscenza, meschina più
di certa mia esperienza, con la corrosività sarcastica, che mi rende abile solo
di indagare a fondo alle trame oscure di uno strapotere marcio fino al
midollo.
Ora devo precisare, di essere ben lieta che dopo
diversi mesi, i cattedratici di cui ho fatto menzione nel mio argomentare,
abbiano sentito il bisogno di ribattere “tempestivamente” alle obiezioni, solo
con offese alla mia persona, sebbene le abbiano prodotte con claudicanti ed
insicure invettive, a cui però, pur mi delizia ribattere, col guizzo e la
sagacia solo dei miei toni divertiti.
Mi appresto allora a chiarire, ma non prima, di aver
reso loro un mio “irriverente” inchino, non fosse altro per aver fatto loro
interrompere l’ozio dorato della propria senescenza, rapsodicamente attratta
nel vortice dell’unidimensionalità del polo speculare non dell'asinità positiva
(come dovrebbe aversi della fatica, dell’umiltà e della tolleranza) ma
piuttosto della asinità negativa, cioè di quella soggezione a dovere obbedire e
credere solo alle “teste unte” e “coronate” con insana rendicontazione. E
fagocitare per essa il contenuto nella pedanteria della regola che espropria i
fatti e le cose ridefinendole nella vertigine delle possibilità combinatorie di
significato e di significante, col potente narcotico del dominio delle
coscienze, ed il mantenimento del potere attraverso l’ottusità della “fede
asinina” - da asino fidente a individuo (in)cosciente - per il disvelamento delle
falsità degli assoluti, che fa sì che il raglio dell’asino possa divenire
grido, panico, che tiene lontani solo i nemici della vera (non)conoscenza.
Impietosa ed impenitente quale certamente io so ben
risultare, sarò dunque incorsa nel mitico discredito che intende colpirmi forse
come temibile avversaria o solo come delirante signora? Ma non temete. Io sono avvezza solo a
scrivere pamphlets e articoletti, dedicati a povere meschine cose, non certo
scrivo - né ho giammai scritto - di straordinari tomi di demo antropologia o
critica letteraria, ricchi dell’iperbole dell’acutezza e dell’eleganza; scrivo
solo di grovigli inquietanti di certa realtà culturale a cui sono assai
prossima, nel mio lucido rigore razionale.
Or bene, ma forse dovrei render conto ai ribaldi,
anche della mia coscienza e del mio libero pensiero, quasi fosse il gioco
amplificabile all'infinito delle simulazioni e delle falsità contro la mia
persona, prodotte senza vergogna né ritegno alcuno?
Certo le Libere opinioni
circostanziate, danno più forza ed in parte generano fastidio, proprio quando
sono senza limitazioni ed indisponibili quali si rivelano di contro alle
complicità come allo strapotere ed alla vigliaccheria solo dei più vili mentecatti.
E pur volendo io restare ben al di sotto degli stessi
toni che mi sono stati usati, dacché io sono Signora e non già cattedratica, quale
io mi fregio proprio di non essere, meglio di costoro; mi accingo a deferire
con divertimento solo della santa asinità.
Certi personaggi della loro risma, sono riconoscibili
perché titolati solo delle loro affermazioni, che li qualificano in autodafé - non
solo come non filosofi o illetterati -
nelle sterili invettive di uomini
meschini, che certo ignorano (o fanno
finta d’ignorare) quanto sia rischioso e di cattivo gusto, rivolgersi a certe
vecchie signore con questi toni.
Magari credendo di riuscire a ribaltare il coraggio di
pensare, scrivere e parlare, con l'insensatezza di certe affermazioni false e
tendenziose, i “coltissimi uomini di cultura” di cui nessuno però scorge il
fondo per via del giganteggiante ego e dello spropositato carisma solo
apparente (da non dover essere messo giammai in discussione in alcun modo) si
sentono per questo più sicuri di tenere
sotto scacco, anche la femmina, ribalda e lucida, cioè la vecchia signora, che
è perciò ancora più lieta, di controbattere ai pedantismi con vanto, solo
perché diversa e propriamente non gradita come moraleggiante.
La pedanteria, scriveva Bruno nella “Cabala del cavallo Pegaseo” è solo
l’effetto della fede asinina.
Perché allora ci sono tanti asini? E perché quelli che
ancora non lo sono sembra che si prodighino a diventarlo?
Ebbene questo era e resta un arcano misterioso:
inesplicabile. Magari perché tutti possano comprendere, rappresentare e poi
descrive, le metamorfosi proprio di questo inasinamento imperante e sempre più
drammaticamente trasversale:
«Fermaro
i passi, piegaro e dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni
propria attenzione e studio, riprovaro qualsiasi uman pensiero, riniegaro ogni
sentimento naturale, ed infine si tennero asini. E quei che non erano, si
trasformaro in questo animale: alzaro, distesero, acuminaro, ingrossaro e
magnificorno l’orecchie, e tutte le potenze de l’anima riportorno e uniro
nell’udire, con ascoltare e solamente credere». (G.B.)
Certo, la fede spropositata nelle proprie esagerate
facoltà dell’intelletto e nella propria scienza edotta, può essere sovente
causa del delirio dell'imbecillità più rude, così come della deiscenza e
decadenza della corruzione della società.
Perciò rivaluto l’importanza del voler dare da conto,
dell’antica lezione sui sileni, quelli per intenderci di Erasmo; per provare
magari ad andare ben oltre la rozza e sciatta immagine che pur di me essi hanno
inteso voler dare, rappresentandomi solo con due commenti su di un convegno del
quale mi sono presa briga di dar conto.
Ben inteso, il richiamo agli asini che si ricollega
come dicevo alla duplice natura dei Sileni: mi serve per chiarire quanto sia
pur necessario andare oltre la rozza immagine esteriore dell'asinità, per
conoscere i “tesori” in essa gelosamente custoditi e tutta la “bellezza” di
certa asinità, di certa (in)cultura di cui però non sempre è bene dare troppo
sfoggio.
Nel gioco dei rovesciamenti, in cui doveva essere
possibile ripercorrere i temi da me argomentati tono su tono, che invece sono
rimasti orfani del sensato e sano contraddittorio dei desiderata, la delusione
è resa smisurata.
Ciò detto però,
senza tener da conto come a volermi affannare ecco allora che mi accingo a disquisire
con miglior e più chiaro eloquio non solo per costoro; ma anche a pieno
beneficio della correttezza che mi si conviene e della mia onestà
intellettuale; solo con la capacità del mio libero pensiero; grata per gli
spazi sin qui avuti e riconoscente verso i pazienti lettori.
Ed IO Signora di nulla accademia come già detto, certo
più del mio vero maestro quel tale nolano, mi appresto così a disquisire
elementarmente con le citazioni tratte dai commenti che riporterò TUTTE in
grassetto e ben in evidenza, a solo vantaggio di chi si diletterà a trarre le
debite conclusioni:
«Davanti
alla follia di chi parla fingendo di avere ascoltato, contesta senza
argomentare, aggredisce senza ragione e offende senza misura e ritegno,
inventandosi per oscure ragioni un nemico germogliato dalle proprie piaghe e
dalle proprie inconfessate inadeguatezze e paure, la migliore risposta è
ignorare tutto, affidando al codice il compito di fare giustizia dell’insolenza
dello spudorato aggressore». (cit..)
Or bene allora, a quale codice si appellano i
cattedratici?
Forse al coraggio di dire sempre quello che io penso e
sono abituata a saper bene argomentare, oppure all’avversità per il mio
giudicare?
Chi mi conosce e magari - mi avrà letta per
comprendermi più e meglio di lor signori titolati - sa bene che non sono mai stata né amo stare
sotto l’imperio di alcun “prete” né amo alcuna incerta risalita sulla “Zattera
della medusa” che pure da Théodore Géricault venne magistralmente rappresenta;
né amo complicità con alcun diavolo che
porta occhiali a pince-nez esattamente solo per spartire con la cremè
della cremè dell’ intellighenzia travagliata dalle lotte intestine e dalla
meschina sete di potere, alcuna cosa affine con la mia persona.
La bizzarra recita di certi inconcludenti atti
convegnistici da cui sempre con estrema umiltà e volenterosa attesa non mi
sottraggo ancora, non sono che il pretesto per una valutazione pessimistica,
sul becero livello culturalmente oramai squalificato e miserrimamente
impersonato da certi indegni pupi ormai ostaggio solo di loro stessi; quasi
tutti sileni arroganti e avidi, cinici sovrani del pressapochismo, indegni
finanche della propria aggettivazione sostanziale.
Del resto il
vuoto politico che caratterizza il Paese attraverso una pletora di viziosi e
meschini uomini ”d'onore” fa realmente toccare con mano quell’intreccio
perverso tra politica e cultura, gerarchie e potentati inconcludentemente
“culturali” magistralmente interpretati in caso di specie che per riflesso
specchiano ogni vera storia qui rappresentata.
Oppure si ricorre e mi si contesta contro al coraggio
di essere coerente con le conclusioni del proprio personale (mio) libero
Pensiero?
Dabbene la “santa asinità” dell’ascolto passivo della
mia parola, contro l’azione della mia scrittura, che non scalfisce alcun ciclo
negativo, né ha permesso né permetterebbe di rivalutare errori, inciampi o clamorose e meschine figure, solo attraverso delle semplici parole, non fà però ben
comprendere certa ostilità svalutativa della mia persona.
Su quali basi? Per partito preso? Oppure solamente per le
mancate nostre frequentazioni in seno alla Fondazione?
E’ vero della Fondazione Padula ne sono diventata mio
malgrado vice presidente, strana e bizzarra carica tanto banale quanto
inconcludente, come volermi rappresentare a presenziare
anche alla presentazione di libri altrui; carica ed incarichi ricoperti - sia
chiaro - non già per vanagloria
personale, né per poter incamerare meriti indebiti alla mia “bassa” levatura;
ma per puntualizzare in seno al C.d.A. (i cui compiti
e le funzioni sono ben chiari e son tutti demandati al chiarissimo ed eminente
presidente della fondazione Prof. Cristofaro) e per assolvere ad un precipuo
compito etico e morale di sano volontariato culturale - delle mie pur umili e
meschine competenze - quelle sì titolate -
ma solo nella pubblica istruzione da poco più di un quarto di secolo e
con chiara fama.
Ho dunque inteso così solo prestarmi al beneficio del
mio dovere, di rappresentare a titolo gratuito la mia città e dei miei
concittadini, con il baglio delle competenze ascritte alla mia sola esperienza
professionale ed umana di docente del pubblico sistema dell’educazione. Altro
non voglio/posso spendere.
Sui titoli
precisi e sui concorsi alla mia nomina, non credo fossero ascritti né la
chiara fama di cattedratico e nemmeno quella di laureato o diplomato e questo
basta, anzi parebbe giunta l’ora di far rivedere anche quelle.
Circa poi
«(…) i
resoconti delle attività, (della Fondazione) come premi, tra cui un Premio di cui lei stessa è animatrice, il Premio
Padula (di discutibile utilità, dal momento che Padula è presente
esclusivamente nella denominazione del premio), e di eventi culturali come
presentazioni di libri, normalmente gestiti da lei stessa, con tutti i
riferimenti economici mai resi pubblici (…) I cui cittadini di Acri avrebbero
così preso atto della nostra estraneità totale a questa storia di interminabili
chiacchierate accompagnate da un’incessante dissipazione di denaro pubblico.» (cit.)
Come già ribadito, rimando al ruolo che non è mio, ma
è del Presidente stesso della fondazione. La mia nomina di vice-presidente
nella Fondazione della città di Acri, lo ribadisco tra Retorica, Finzione e non
poche Incertezze, ha rappresentato un onere e non già un onore, di chi cioè riesce
bene a distinguere tra il ruolo da assolvere e la sua più alta funzione civile
al servizio degli ambiti culturali, già di per sé difficili da
rappresentare.
Lavorare per promuovere cultura nell’interesse e nella difesa della
collettività cui apparteniamo io e la Fondazione, alla quale io stessa ho dato vita,
come assessore alla cultura nel 1998, fatto salvo l’onore e la mia dignità, mi
ha imposto sempre di farmi assolvere ad un profondo senso di giustizia e di
limpida trasparenza soprattutto della mia coscienza e poi del mio operato.
Anche
quando sono stata svilita e mortificata in asfittici ed autoreferenziali
circostanze, io son rimasta malgrado tutto a “presenziare” delirando proprio
con i miei libelli, della funzione critica, dall’alto senso etico
dell’istituzione e della qualifica della mia persona.
Sebbene contro
i docenti stessi ad armarsi siano qui ora proprio altri docenti dall’aria non
propriamente cattedratica; nobilitata ex adiuvantibus per completare il quadro del degrado e del
livello di mediocrità raggiunto da quei
commenti, mi ergo anch’io - ma
non avrei voluto - a paladina della titolata moralità, facendo notare quanto dall’arroganza
dei cattedratici si riesca sempre a poter affermare, l’immagine contrita che è
pari quasi sempre alla tela del ragno, quella torbida ed insulsa, da cui
nascono sovente stroncature, stavolta alla persona e non ai contenuti.
Come allora non indirizzare eguale pochezza, che
Sciascia stesso indirizzò a «Ministri,
deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: cioè alla classe
dirigente; la quale (che cosa) dirige (?) solo una ragnatela nel vuoto, la
propria labile ragnatela, anche se di filo d’oro».
Mi si accusa di essere “Ignorante e bugiarda”
(cit.) or bene sono orgogliosa e fiera, anzi grata di potere dare anche qui
prova per l’occasione, in tutto il mio fulgore, di incolta e dignitosa testa
pensante non prezzolata.
Ma un attimo prima di aver fissato la becera
asinità pedante dei cattedratici miei interlocutori, che pur se eruditi assai
più di me, mi condannano inappellabilmente, alla mia immodesta e sfrontata umanità minore, di
dovere una risposta in fil di lama né di “gregge” né di “asino”
e nemmeno di “pulcino” o forse di “pulledro”.
E’ vero mi fregio di esser semplice Signora, titolata
all’esercizio della professione di docente col solo beneficio di pubblici
concorsi, dall’alto servigio reso alla pubblica istruzione, prima che alla
dignità di Persona che si è liberata di certa perenne minorità: magari
prioritariamente quella dell’insensibilità.
Ciò che non ho
allora proprio bisogno più di comprendere (con la mia edotta laurea né col mio
diploma) che vale (al pari se non di più) di ogni migliore “dotta (e sacra)
ignoranza” che quella dei pedanti
cattedratici miei interlocutori e di
tutti i poveri Fanfulla della cultura è che - al cattivo gusto non vi è proprio
mai fine - se si perde il senno e la
misura.
IO NON sono MAI stata bisognosa di padrini, né come
studentessa, né come docente né come intellettuale e NON ho padri protettori o
padreterni, che mi restano tanto più speciosi quanto più sono assoluti. Sono
repellente sin anche alla “intelligentissima stupidità” perché ho bene digerito
ormai da tempo che come donna necessito di strumenti ben più consistenti, per
dovermi confrontare alla pari con guitti poveri e pseudo acculturati.
Del resto l’umanità meridionale a cui appartengo è
ancora prostrata ed in ginocchio nella speranza del miracolo e delle
intercessioni degli unti del signore, che nelle simoniache alleanze
“acculturate" degli accademici di certe meschine cattedrali, sguazzano
indisturbatamente nella melassa e nella melma delle titolazioni “ad hoc”
proprio con la nutrita pletora di pedanti ignoranti e di asini obbedienti, a
cui mi fregio di non voler appartenere,
per non «guidare con la lanterna della fede, cattivando (imprigionando)
l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addrizza e
guida» - Cabala del Cavallo Pegaseo - (G.B.)
Pertanto mi limito soltanto a ragionare tentando anche
di trasformare in azione, ciò che scrivo, perché amo guardare alla liberazione
del pensiero e non alla sottomissione intellettuale che è resa anche dal
fastidio del monogramma esistenziale cattedratico.
«la
Signora presentatrice di libri altrui ha cercato di formulare sulle nostre
relazioni, che in parte non ha deliberatamente ascoltato, per una forma
etologica di rifiuto dell’estraneo e del potenziale “nemico” (essendo
maleducatamente impegnata a chiacchierare con altri durante tutta la durata
delle tre relazioni), e in parte non ha capito per mancanza di riferimenti
culturali specifici: la poco gentile signora insegna, non so con quale titolo,
nelle scuole medie superiori, è totalmente estranea al mondo della ricerca
scientifica, non ha dimostrato in alcun modo di avere una formazione
professionale in tal senso, non avendo mai pubblicato un suo libro, avendo solo
investito, a parte l’insegnamento scolastico, il suo tempo nella presentazione
in Acri di libri altrui e non essendosi mai sottoposta a nessuno dei tre
livelli di concorsi accademici, che legittimano il possesso di abilità e
attitudini alla ricerca e quindi la capacità di esprimere giudizi su prodotti
scientifici» (cit.)
Io sono donna che non subisce il mondo, ma vive nel
mondo e incide per come può col proprio mondo, in cui ho scelto di vivere
dignitosamente la mia vocazione. E non vi faccia specie, non vivo alcuna
frustrazione; bene educata come io sono stata dalla mia famiglia, ai sani
valori della correttezza e del timore giammai dovuto solo perché
reverenziale. E’ vero senza il demone del fastidio contro il conforme ed il
fideistico, sin anche un buon provvido filosofo non potrebbe maturare alcuna
rivoluzionaria trasformazione; ed è risaputo che io posseggo questa innata
inclinazione al fastidio, per auspicare sempre una possibile altra nuova
rivoluzione.
Non vivo pensiero che mi costringe a fare i conti con
le piccolezze e le ristrettezze mentali, tanto da dover ricorrere di necessità
a dover solo demonizzare l’avversario.
Ed anche quando non ammetto zone grigie, è forse solo
perché il mio è un atto d’accusa contro l’opportunismo, la pavidità, la
rassegnazione, che producono come scriveva Giordano Bruno il «servilismo che è corruzione contraria alla
libertà e dignità umana» (De immenso et innumerabilibus).
Ciascuno è solo
proprietario della propria vita e non deve Mai poter fare a meno di rivendicare
la propria libertà; tanto più nell’etica della propria autonomia di dire e di
pensare ciò che gli pare, con buona pace dei padroni dell’anima.
«due
son le mani per le quali è potente legare ogni legge, l’una è della giustizia,
l’altra della possibilità… niente però è giusto che non sia possibile». G.B. - Spaccio della Bestia trionfante -