sabato 11 novembre 2017

I NOSTRI MIGRANTI.


Giovedì 16 novembre ritornerà ad Acri, nella terra antica dei suoi padri, il Professor Joseph Luzzi (*). (E.C. Non sarà giovedì  ma a fine mese... se Zeus vuole).





A GUARDARE VECCHIE FOTO
di Joseph Luzzi


Ho passato un sacco di tempo negli ultimi anni a guardare vecchie foto di famiglia, di familiari che non ho mai conosciuto (sarebbe più preciso chiamarli con il termine asettico "antenati").

Mentre scrivevo le mie memorie, My Two Italìes, Le Mie Due Italie, ho studiato la storia della mia famiglia su prove materiali della loro vita in Italia del sud, prima che arrivassero come immigrati negli Stati Uniti negli anni 50.

Tutto ciò mi colpì profondamente: le carte di naturalizzazione di mio nonno Carmine Crocco, l’encomio di guerra di mio padre, i certificati di nascita dei miei fratelli e la carta d'identità italiana di mia madre, che citava la sua professione di "casalinga".

Ma niente mi ha commosso come le fotografie. I negativi da tempo sono stati persi, e ho dovuto fare affidamento su stampe multigenerazionali, alcune profondamente sbiaditi. Eppure la possibilità di poter guardare negli occhi delle persone di cui stavo scrivendo, li ha riportati alla vita.

Prima del libro, i miei nonni erano solo nomi. Mia nonna materna, Rosaria Crocco, mi aveva aiutato a crescere da bambino, ma mio padre la rimandò in Italia in collera, sostenendo che era intrigante, quando ero troppo piccolo per ricordarla.

Con il tempo ho finito Le mie due Italie, e ho capito che mia madre era veramente figlio di suo padre Carmine: la stessa espressione calda, lo stesso accenno di nervi e ansia negli occhi che hanno visto troppa sofferenza.

Mi sentivo come se avessi incontrato mio nonno – e mia madre – per la prima volta.

C'è una foto del "vecchio paese" che non compare nel libro, un ritratto di gruppo di alcuni abitanti del villaggio calabrese (Cantari, frazione di Acri, n.d.t).

Prima di vedere questa foto, non avevo mai sentito parlare di queste persone. Eppure nulla, più di questa immagine una volta anonima, mi ricorda più del mondo perduto dei miei genitori, quello che hanno abbandonato per dare a noi, i loro figli, una vita migliore in America.

È tutto lì: le strade sterrate, l'abbigliamento modesto quasi rozzo, la natura corale della vita del villaggio. Anche se la foto era del 1950, poteva anche essere stata del 1800 o addirittura 1700.

I miei genitori sono fuggiti dalla Calabria perché non volevano crescere i loro figli in un mondo che sapevano che sarebbe cambiato poco come questa istantanea cristallizzata.

Da allora ho imparato chi sono le persone: all'estrema destra, il pastore Vincenzo Crocco, il fratello di mio nonno Carmine; accanto a lui, il gigante Luigi, il cognato di Carmine; al centro, sua moglie, Bommina, una casalinga come tutte le matrone calabresi dell'epoca; a destra, amico di mio nonno l'elegante Federico Olfello, un lavoratore; accanto a lui, sua moglie, Anna.

Ho chiesto a mia madre perché era stata scattata quella foto, e lei rispose che forse avevano appena macellato un maiale, e tutti si erano riuniti per una festa celebrativa.

Non conoscevo nessuno di loro, ma i volti di questo gruppo mi hanno aiutato a scrivere il mio libro.

Vedo mio nonno Carmine nel fratello Vincenzo: la stessa piccola e delicata corporatura, portamento fiero e sguardo premuroso. Più di tutto, vedo i miei genitori nella loro prima casa, i parenti e gli amici, che si sono lasciati alle spalle e non sono mai più tornati.

In "l'opera d'arte nell'era della riproduzione meccanica" (1936), Walter Benjamin affermò che le fotografie mancano di "aura": sono create da un processo meccanico (l'impronta di luce su un negativo), piuttosto che dalla mano di un artista, rendendole infinitamente riproducibili.

Ma ha anche sostenuto che una foto può fornire qualcosa che un dipinto o una scultura non può mai: un’indicazione o una registrazione del momento, nello spazio e nel tempo, di quando l'immagine è stata scattata.

Ho sentito il potere dell'osservazione di Benjamin mentre fissavo i miei parenti perduti: erano effettivamente fissati in un punto del passato, conservati per sempre in questo ormai scomparso universo calabrese.

Ma forse una foto può avere un'aura propria. Anche se si trattava di un processo meccanico che ha registrato questi paesani acresi - e anche se li conoscevo solo in forma digitale - ho potuto ancora sentire l'odore del passato, privato e pubblico.

E potevo ascoltare le storie dei miei uomini solo quando potevo guardarli negli occhi.

Articolo postato il 4 Luglio 2014, tradotto da S.F.




(*) I genitori di Joseph Luzzi erano cittadini acresi, abitanti nella contrada lamuconese di Cantari, che come tante famiglie del luogo, in diverse ondate migratorie, nella prima metà del secolo scorso, sbarcarono in America.

Giuseppe (Joseph) è l’ultimo dei 4 figli, e il primo che nacque in America.

La sua famiglia si stabilì e si integrò negli States, dove Joseph seguì brillantemente una carriera scolastica e accademica che lo portò a conseguire un dottorato alla Yale University e ad insegnare al Bard College, nello Stato di New York.


Ha scritto My Two Italies (2014) segnalato dal New York Times Book Review, Il romanticismo italiano e l'Europa. (2008), fantasia e realtà nell'immaginario occidentale, vincitore del Premio Scaglione per gli studi di italianistica, e A Cinema of Poetry: Aesthetics of the Italian Art Film. (2011)

I suoi saggi e le sue recensioni sono apparsi su The New York Times, Los Angeles Times, Bookforum e The Times Literary Supplement.

Dante Alighieri è da oltre vent'anni al centro della sua attività accademica. 

Nel 2015 pubblica Oltre la selva oscura, tradotto in diverse lingue, e che gli fece ottenere numerosi riconoscimenti e premi per il suo lavoro di docente e studioso di Dante.

Oltre agli impegni accademici, Luzzi tiene conferenze su letteratura, arte e cinema in giro per il mondo.

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