“Su ciò di cui non si è in grado di
parlare, si deve tacere”, scrisse Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus
Logico-Philosophicus, considerato uno dei testi filosofici più
importanti del Novecento.
Vi sono invece in giro dei tuttologi cacasenno che
ritengono di essere in grado di parlare di tutto, e naturalmente del contrario
di tutto, anche quando l’argomento è altamente specialistico e lontano dalle loro
conoscenze e dalla loro portata.
Il cacasenno di turno ritiene ormai di essere in
possesso della Penna del Bruzio, anche se sfilata con destrezza dal taschino
del Padula, crede di avere in mano una penna graffiante e che nessuno lo potrà
mai fermare – quanta grandezza d’animo! - nel nobile esercizio moralizzatore di
scudisciare i potenti di turno. Soprattutto quei potenti che gli stanno sulle
scatole.
E così, senza leggere le carte, anche perché risulta
molto faticoso, preferisce lavorare di fantasia sulla base del sentito dire.
Tecnica letteraria sperimentata già quando si è
cimentato nella scrittura dei testi di un film documentario in cui descrive il
Padula come un sobillatore, un capopopolo, un poeta maledetto, dimostrando di
aver letto l’immensa produzione letteraria dell’Ariosto della Calabria, appellandosi
al 1° e al 2° articolo del Decalogo dei diritti del lettore
stilato da Pennac.
Allora vediamo il sedicente Bruzio come ha
raccontato in quattro righe – potenza della capacità di sintesi! – una vicenda complessa, una disputa che vede
coinvolti una ditta, il Comune, ingegneri, periti, avvocati, giudici e una
folla di intervenuti minori.
Tenuta
fa pagare la mazzetta ai cittadini. Sì proprio così, un incipit diretto ed
elegante. Come e perché presto ce lo dice.
Una ditta – il Consorzio
Stabile Olimpia – nel 2008 si aggiudicò l’appalto per i lavori
di illuminazione pubblica di Via Aldo Moro per 234.000 €. I lavori furono completati nel 2013 quando Tenuta
divenne sindaco. Tenuta non volle pagare alla ditta appaltatrice delle “spese ulteriori” (70.000 € circa) e delle “riserve”
(???) avanzate dalla ditta stessa. “A nulla valsero i tentativi di conciliazione
fra le parti”. E venne il lodo arbitrale che condannò il
Comune a pagare alla ditta non 70.000 €, ma 1.009.345,16 € più 60.000 €
“per buon misura”.
L’esperto giornalista
critico dimostra anche buone conoscenze di aritmetica, perché riesce a
calcolare incredibilmente che, dividendo la cifra totale per gli abitanti di
Acri (compreso i poppanti), ogni Acrese pagherà 51 € di tangente a Tenuta. E questa dovrebbe anche essere la “morale della favola”.
Lasciamo il mondo della fantasia e torniamo con i
piedi per terra.
Cosa vuol dare ad intendere Emilio Padula ai colti e
raffinati lettori del suo blog? Che Tenuta, per non aver voluto pagare 70.000 €
a una ditta e per aver rifiutato i tentativi di conciliazione, ha fatto pagare al Comune, e a tutti i
cittadini, più di un milione di euro.
Anche un cittadino sprovveduto si porrebbe la
domanda, ma possibile che se uno vanta un credito di 70 mila euro e va a
giudizio, il giudice gli riconosce e concede un milione di euro?
No, non è possibile, almeno in questo caso.
No, non è possibile, almeno in questo caso.
Infatti il giornalista critico omette di scrivere a
quanto ammontano le riserve. Scrive di “ulteriori
spese” e dice intorno a quanto si aggirano (70.000 €), poi parla di “riserve”, dando per scontato che i suoi colti lettori ne sappiano
il significato, ma si guarda bene dal dire se dietro quella voce vi siano cifre.
L’istituto delle riserve, nel gergo e nella
legislazione dei lavori pubblici, consente all’appaltatore di poter avanzare
precise richieste riguardanti fatti tecnici ed economici dei lavori in appalto.
Le riserve attengono prevalentemente a richieste di risarcimento danni, e sono
atti che danno la possibilità all’appaltatore di tutelarsi nelle varie fasi di
stipula e gestione del contratto, di esecuzione delle opere, fino alla fase di collaudo
tecnico-amministrativo. Per chi volesse
approfondire e non è un tecnico segnalo un abstract: http://www.darioflaccovio.it/abstracts/9788857901121/riserve-lavori-pubblici_9788857901121.pdf
Ecco, cittadini acresi che siete stati avvisati dal Robin Hood di casa nostra (imported), sapete quante riserve, con relative somme
pretese dal Comune, ha presentato la ditta Olimpia? 5 (cinque). Sapete a quanto
ammontava la richiesta di risarcimento? 2.604.
362,57 €. Perché il sapientino matematico non prova a dividere la cifra per
il numero di abitanti per vedere quanto avrebbe pagato ogni cittadino (poppanti
compresi) se Tenuta non si fosse opposto?
Ma soffermiamoci sulla cifra di 2 milioni e 600 mila richiesta dall’impresa
che non ha sede a Milano ma ad Acri e dovrebbe tenere a cuore le sorti del
Comune. Quella è una cifra che manderebbe di nuovo in dissesto il Comune.
Lo ha spiegato bene il Sindaco in Consiglio
Comunale. Durante i lavori appaltati ci sono state sospensioni, anche lunghe, dovute a perizie di
varianti per modifiche del progetto (modifica rotatoria, richiesta cittadini
per accessi ai garages), per avverse condizioni atmosferiche, ma anche messe in
atto dalla ditta stessa per mancato pagamento dei SAL (stati avanzamento
lavori).
Ma come si può pretendere di non sconfinare nel ridicolo nel chiedere un risarcimento di 1.300.000 € per il fermo
degli operai, nei periodi in cui vi
è stato il fermo dei lavori. Questi signori impresari ci vogliono far credere
che hanno tenuto gli operai dalla mattina alla sera fermi immobili nella
costruenda rotatoria di Via Aldo Moro, e pagati a peso d’oro.
Si richiedono poi 700.000 € per il fermo
macchine ed attrezzature, come dire, se vi siete bevuti la storia degli
operai fermi, berrete anche questa.
E poi il mancato
utile: 254.000 €. Sarebbe a dire quanto
la ditta avrebbe guadagnato e dichiarato in cinque o sei anni, eseguendo lavori
altrove, se non avesse avuto gli operai e i mezzi fermi con le quattro frecce in Via Aldo Moro. E una
parte dei cittadini sarebbero disposti a credere a simili favole, almeno i
poppanti.
Ogni cittadino serio che volesse approfondire (io
non posso farla più lunga di così se no non mi legge nessuno) ed avere una idea
di quanto sia grottesca questa vicenda non ha che da chiedere documenti al
Comune. Le richieste dell’impresa, le perizie del CTU o del CPT, le risultanze
del Collegio Arbitrale. Proprio queste risultanze, il famoso lodo sono state impugnate dall’Amministrazione che, per tutelare le finanze
pubbliche e le tasche dei cittadini, ha
il compito di difendere il Comune dagli attacchi proditori di chi pensa che
possa facilmente saccheggiarlo.
Ultima considerazione sulla favola che vi siano
stati “dei tentativi di conciliazione fra
le parti”. Il Sindaco non ha mai ricevuto richieste dirette, né scritte ne
orali, in merito. Non esistono atti o testimonianze che possano dimostrarlo.
Ma in una storia aberrante ed illogica questo può
risultare un particolare trascurabile.
Non va trascurata invece la sicumera di
moralizzatori sempre pronti a gettare palate di sterco su chi le istituzioni le
difende e mai su chi cerca di depredarle, dimostrando che il Padula non lo
hanno compreso affatto.
Fra l’altro è gente abituata a sputare nel piatto in
cui mangia. Se mai ce ne fosse bisogno occorre ricordare che il sindaco pro
tempore è socio fondatore, membro del consiglio di amministrazione e principale
contribuente della Fondazione Padula.
Né il sindaco né l’amministrazione hanno opposto
alcuna pregiudiziale alla presentazione, nell’ultimo Premio Padula, di un film
documentario fra i cui autori spiccavano due calunniatori recidivi dell’attuale
Amministrazione Comunale, proprio perché siamo dell’idea che il Bruzio non deve
tacere. Il Bruzio vero non quello camuffato.
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