sabato 5 dicembre 2015

LA MORALE DEI CIARLATANI CAMUFFATI




“Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere”, scrisse Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus, considerato uno dei testi filosofici più importanti del Novecento.
Vi sono invece in giro dei tuttologi cacasenno che ritengono di essere in grado di parlare di tutto, e naturalmente del contrario di tutto, anche quando l’argomento è  altamente specialistico e lontano dalle loro conoscenze e dalla loro portata.
Il cacasenno di turno ritiene ormai di essere in possesso della Penna del Bruzio, anche se sfilata con destrezza dal taschino del Padula, crede di avere in mano una penna graffiante e che nessuno lo potrà mai fermare – quanta grandezza d’animo! -  nel nobile esercizio moralizzatore di scudisciare i potenti di turno. Soprattutto quei potenti che gli stanno sulle scatole.

E così, senza leggere le carte, anche perché risulta molto faticoso, preferisce lavorare di fantasia sulla base del sentito dire.
Tecnica letteraria sperimentata già quando si è cimentato nella scrittura dei testi di un film documentario in cui descrive il Padula come un sobillatore, un capopopolo, un poeta maledetto, dimostrando di aver letto l’immensa produzione letteraria dell’Ariosto della Calabria, appellandosi al 1° e al 2° articolo del Decalogo dei diritti del lettore stilato da Pennac.

Allora vediamo il sedicente Bruzio come ha raccontato in quattro righe – potenza della capacità di sintesi! –  una vicenda complessa, una disputa che vede coinvolti una ditta, il Comune, ingegneri, periti, avvocati, giudici e una folla di intervenuti minori.  

Tenuta fa pagare la mazzetta ai cittadini.  Sì proprio così, un incipit diretto ed elegante. Come e perché presto ce lo dice.
Una ditta – il Consorzio Stabile Olimpia  –  nel 2008 si aggiudicò l’appalto per i lavori di illuminazione pubblica di Via Aldo Moro per 234.000 €. I lavori furono completati nel 2013 quando Tenuta divenne sindaco. Tenuta non volle pagare alla ditta appaltatrice delle “spese ulteriori” (70.000 € circa) e delle “riserve” (???) avanzate dalla ditta stessa. “A nulla valsero i tentativi di conciliazione fra le parti”. E venne il lodo arbitrale che condannò il Comune a pagare alla ditta non 70.000 €, ma 1.009.345,16 € più 60.000 € “per buon misura”.

L’esperto giornalista critico dimostra anche buone conoscenze di aritmetica, perché riesce a calcolare incredibilmente che, dividendo la cifra totale per gli abitanti di Acri (compreso i poppanti), ogni Acrese pagherà 51 € di tangente a Tenuta. E questa dovrebbe anche essere la “morale della favola”.

Lasciamo il mondo della fantasia e torniamo con i piedi per terra.

Cosa vuol dare ad intendere Emilio Padula ai colti e raffinati lettori del suo blog? Che Tenuta, per non aver voluto pagare 70.000 € a una ditta e per aver rifiutato i tentativi di conciliazione,  ha fatto pagare al Comune, e a tutti i cittadini, più di un milione di euro.

Anche un cittadino sprovveduto si porrebbe la domanda, ma possibile che se uno vanta un credito di 70 mila euro e va a giudizio, il giudice gli riconosce e concede un milione di euro? 
No, non è possibile, almeno in questo caso.
Infatti il giornalista critico omette di scrivere a quanto ammontano le riserve. Scrive di “ulteriori spese” e dice intorno a quanto si aggirano (70.000 €), poi parla di “riserve”, dando per scontato che i suoi colti lettori ne sappiano il significato, ma si guarda bene dal dire se dietro quella voce vi siano cifre.

L’istituto delle riserve, nel gergo e nella legislazione dei lavori pubblici, consente all’appaltatore di poter avanzare precise richieste riguardanti fatti tecnici ed economici dei lavori in appalto. Le riserve attengono prevalentemente a richieste di risarcimento danni, e sono atti che danno la possibilità all’appaltatore di tutelarsi nelle varie fasi di stipula e gestione del contratto, di esecuzione delle opere, fino alla fase di collaudo tecnico-amministrativo.  Per chi volesse approfondire e non è un tecnico segnalo un abstract:  http://www.darioflaccovio.it/abstracts/9788857901121/riserve-lavori-pubblici_9788857901121.pdf

Ecco, cittadini acresi che siete stati avvisati dal Robin Hood di casa nostra (imported), sapete quante riserve, con relative somme pretese dal Comune, ha presentato la ditta Olimpia? 5 (cinque). Sapete a quanto ammontava la richiesta di risarcimento? 2.604. 362,57 €. Perché il sapientino matematico non prova a dividere la cifra per il numero di abitanti per vedere quanto avrebbe pagato ogni cittadino (poppanti compresi) se Tenuta non si fosse opposto?

Ma soffermiamoci sulla cifra di  2 milioni e 600 mila richiesta dall’impresa che non ha sede a Milano ma ad Acri e dovrebbe tenere a cuore le sorti del Comune. Quella è una cifra che manderebbe di nuovo in dissesto il Comune.
Lo ha spiegato bene il Sindaco in Consiglio Comunale. Durante i lavori appaltati ci sono state  sospensioni, anche lunghe, dovute a perizie di varianti per modifiche del progetto (modifica rotatoria, richiesta cittadini per accessi ai garages), per avverse condizioni atmosferiche, ma anche messe in atto dalla ditta stessa per mancato pagamento dei SAL (stati avanzamento lavori).

Ma come si può pretendere di non sconfinare nel ridicolo nel chiedere un risarcimento di 1.300.000 € per il fermo degli operai,  nei periodi in cui vi è stato il fermo dei lavori. Questi signori impresari ci vogliono far credere che hanno tenuto gli operai dalla mattina alla sera fermi immobili nella costruenda rotatoria di Via Aldo Moro, e pagati a peso d’oro.

Si richiedono poi 700.000 € per il fermo macchine ed attrezzature, come dire, se vi siete bevuti la storia degli operai fermi, berrete anche questa.
E poi il mancato utile: 254.000 €. Sarebbe a dire quanto la ditta avrebbe guadagnato e dichiarato in cinque o sei anni, eseguendo lavori altrove, se non avesse avuto gli operai e i mezzi fermi con le quattro frecce in Via Aldo Moro. E una parte dei cittadini sarebbero disposti a credere a simili favole, almeno i poppanti.

Ogni cittadino serio che volesse approfondire (io non posso farla più lunga di così se no non mi legge nessuno) ed avere una idea di quanto sia grottesca questa vicenda non ha che da chiedere documenti al Comune. Le richieste dell’impresa, le perizie del CTU o del CPT, le risultanze del Collegio Arbitrale. Proprio queste risultanze, il famoso lodo sono state impugnate dall’Amministrazione che, per tutelare le finanze pubbliche e le tasche dei cittadini,  ha il compito di difendere il Comune dagli attacchi proditori di chi pensa che possa facilmente saccheggiarlo.

Ultima considerazione sulla favola che vi siano stati “dei tentativi di conciliazione fra le parti”. Il Sindaco non ha mai ricevuto richieste dirette, né scritte ne orali, in merito. Non esistono atti o testimonianze che possano dimostrarlo.
Ma in una storia aberrante ed illogica questo può risultare un particolare trascurabile.

Non va trascurata invece la sicumera di moralizzatori sempre pronti a gettare palate di sterco su chi le istituzioni le difende e mai su chi cerca di depredarle, dimostrando che il Padula non lo hanno compreso affatto.

Fra l’altro è gente abituata a sputare nel piatto in cui mangia. Se mai ce ne fosse bisogno occorre ricordare che il sindaco pro tempore è socio fondatore, membro del consiglio di amministrazione e principale contribuente della Fondazione Padula.
Né il sindaco né l’amministrazione hanno opposto alcuna pregiudiziale alla presentazione, nell’ultimo Premio Padula, di un film documentario fra i cui autori spiccavano due calunniatori recidivi dell’attuale Amministrazione Comunale, proprio perché siamo dell’idea che il Bruzio non deve tacere. Il Bruzio vero non quello camuffato.



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