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Il Consiglio Regionale della Calabria taglia i costi della politica, meno soldi a consiglieri e partiti. Insorgono Pd e Idv: «La democrazia costa, quei soldi ci servono».
La Presidenza ha ridotto del 10% i rimborsi ai gruppi consiliari e del 25% i rimborsi per i trasferimenti dei consiglieri, la Regione risparmierà 1.300.000€ l’anno
Il Consiglio regionale della Calabria ha approvato la legge che prevede la riduzione del costo della politica per 1,3 milioni di euro l’anno.
Il provvedimento, illustrato dal Presidente del Consiglio regionale Franco Talarico, prevede la riduzione del 10% delle spese per il funzionamento dei Gruppi consiliari e del 25% dei rimborsi delle spese di trasporto sostenute per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni correlati al mandato dei consiglieri regionali.
CAPITO?! Tagliano il 10% e risparmiano 1,3 milioni di euro.
Il restante 90%, cioè con 11,7 milioni di euro, continuerà a riempire le tasche dei Consiglieri. E vanno ad aggiungersi agli 11.316,80 euro di indennità netta del semplice consigliere.
BRAVIII!!! TAGLI davvero Sostanziosi
Dure critiche, invece, dall’Italia dei Valori.
Se vogliamo, anche un pò sorprendenti se consideriamo la linea del partito su queste tematiche a livello nazionale. Giuseppe Giordano e Domenico Talarico, i due consiglieri del partito guidato da Antonio Di Pietro, hanno duramente criticato i provvedimenti: «La democrazia ha dei costi e c’è bisogno di soldi, così come è necessario il sostegno ai partiti ed ai gruppi».
BRAVI!!!
Il consigliere del Pd Censore ha detto che «Chi fa politica svolge una missione per servire la Regione e la Nazione che comporta sacrifici ed è opportuno che ciascuno di noi abbia il giusto compenso»
BRAVO!!!
Tuesday, 28 June 2011
Thursday, 16 June 2011
Berlusconi: l'augurio di una rappresentante de "L'ITALIA MIGLIORE CHE AVANZA."
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Un grazie particolare agli ispiratori travaglio, santoro, floris, fazio, annunziata, galbanelli, lerner, e compagnia insultante, (il minuscolo è d'obbligo).
Un grazie particolare agli ispiratori travaglio, santoro, floris, fazio, annunziata, galbanelli, lerner, e compagnia insultante, (il minuscolo è d'obbligo).
L'On.Silvestris sulla richiesta di immunità dell'On.De Magistris
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L'impedimento valido solo per loro.
L'impedimento valido solo per loro.
Thursday, 9 June 2011
L'IMPEDIMENTO VALIDO SOLO PER LORO.
Comunicati Stampa Parlamento Europeo
Immunità di Antonio Di Pietro
Il Parlamento ha deciso di non revocare l'immunità di Antonio Di Pietro nell'ambito di un procedimento per diffamazione avviato da Filippo Verde presso il Tribunale Civile di Roma.
Di Pietro avrebbe ammesso che l'articolo per il quale è stato incriminato
conteneva un «errore madornale», ma per i deputati, nel commentare una delle più importanti vicende processuali che hanno alimentato il dibattito politico italiano, egli stava esercitando le sue funzioni parlamentari.
Approvando con 654 voti favorevoli, 11 contrari e 13 astensioni la relazione di Aloyzas SAKALAS (PSE, LT), il Parlamento ha deciso di non revocare l'immunità di Antonio Di Pietro a seguito dell'ordinanza del Tribunale Civile di Roma rivolta al deputato nella causa civile
intentata da Filippo Verde. In tale ordinanza il Tribunale italiano, esaminando l'argomento difensivo sollevato da Di Pietro «sotto forma di eccezione di insindacabilità», ha chiesto al Parlamento europeo di decidere sulla sua immunità, dal momento che all'epoca dei fatti egli
era parlamentare europeo.
Secondo quanto riportato nell'atto di citazione, nel febbraio 2003 è comparso sul sito Internet ufficiale della "Lista Di Pietro" un articolo firmato da Antonio Di Pietro. In detto articolo, nel commentare il processo pendente dinanzi al Tribunale di Milano per la vicenda IMI-SIR/
Lodo Mondadori, il parlamentare in causa affermava che Filippo Verde era stato accusato di corruzione - insieme ad altri giudici - per aver accettato una tangente per "aggiustare" una sentenza (la frase incriminata era la seguente: "...la vicenda Lodo Mondadori riguarderebbe
una sentenza emessa dal Tribunale di Roma - sempre sotto l'influenza diretta o indiretta dei giudici Metta, Verde e Squillante - che annullò un lodo arbitrale ...").
Nella premessa dell'atto di citazione, Filippo Verde ha dichiarato che il suo nome non è mai comparso nella lista degli imputati per la vicenda del Lodo Mondadori e accusa Di Pietro di aver diffuso una notizia oggettivamente falsa, il che configura il reato di diffamazione.
Verde
ha chiesto un risarcimento danni e, a titolo di riparazione una somma di euro 210.000. Di Pietro ha riconosciuto che il suo articolo conteneva un "errore madornale", causato da un banale gioco di copyfile.
In effetti, Filippo Verde non è mai stato coinvolto nella vicenda
processuale del Lodo Mondadori, mentre lo è stato nel processo IMI-SIR, nell'ambito del quale era stato assolto da tutte le imputazioni contestategli. Nella sua difesa, Di Pietro ha sostenuto che questo errore tecnico/redazionale si è verificato perché i mass-media accomunavano
normalmente le due vicende giudiziarie con il termine "processo IMI-SIR/Lodo Mondadori".
Per i deputati nelle sue affermazioni, riportate nell'atto di citazione presentato da Verde, l'on. Di Pietro stava semplicemente «commentando notizie di pubblico dominio».
Nel descrivere e criticare una delle più importanti vicende processuali che hanno alimentato il recente dibattito politico in Italia, egli stava esercitando le sue funzioni di parlamentare, esprimendo
la sua opinione su un tema d'interesse pubblico per i suoi elettori. «Cercare di imbavagliare i parlamentari, avviando procedimenti giudiziari nei loro confronti, per impedire loro di esprimere le proprie opinioni su questioni che suscitano un legittimo interesse e preoccupazione
nell'opinione pubblica, è inaccettabile in una società democratica». Costituisce inoltre una violazione dell'articolo 9 del Protocollo, che mira a salvaguardare la libertà di espressione dei parlamentari nell'esercizio del loro mandato, nell'interesse del Parlamento in quanto Istituzione.
Aloyzas SAKALAS (PSE, LT)
Relazione sulla richiesta di consultazione sull'immunità e i privilegi di Antonio Di Pietro
Procedura: Immunità
Relazione senza discussione
Votazione: 23.4.2009
Contattare :
Federico ROSSETTO (Addetto stampa)
E-mail: stampa-IT@europarl.europa.eu
BXL: (32-2) 28 40955
STR: (33-3) 881 74133
PORT: (32) 498 98 33 23
ACQUA LIBERA, No alla DISINFORMAZIONE.
Il 12 e il 13 giugno non andiamo a votare.
La MALAFEDE nella propaganda dei sostenitori del SI al referendum contro la “privatizzazione dell’acqua” ne fa la più grande bufala mediatica del dopoguerra.
Nessuna legge, in Italia, ha privatizzato l’acqua e nessun Governo o Partito politico intende proporre una misura di questo tipo.
Le attuali norme prevedono che, ferma restando la proprietà pubblica dell’acqua e delle reti che la portano dalla fonte al rubinetto, la gestione dei servizi sia gestita in un quadro di libero mercato.
Le tariffe, secondo la legge, sono stabilite dagli enti locali, secondo leggi regionali che si ispirano alla normativa nazionale, come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale.
I referendum negano la necessaria separazione delle funzioni di indirizzo, governo, controllo da quelle gestionali: sono mestieri diversi, con competenze molto diverse.
Mantenere questa confusione porta a perpetuare inefficienze, i cui costi vengono scaricati sulla fiscalità generale non hanno la forma di tariffe più alte, ma sono comunque costi a carico dei cittadini.
Questo significherebbe che l’incasso delle bollette non coprirà tutti i costi del servizio che dovranno essere coperti con una apposita tassa, oppure che chiuderanno in perdita, cosa che renderà i nostri acquedotti ancora più colabrodo di quanto non siano oggi.
L’ideologia deve stare fuori dall’organizzazione del servizio idrico e lasciare spazio ad un sano pragmatismo: oggi le società che gestiscono l’acqua con assetto privatistico e quotate in borsa chiudono tutte in utile, restituendo ai comuni che ne sono soci importanti dividendi che vengono utilizzati per finanziare la cultura, i servizi sociali, le opere pubbliche.
Le società nelle quali il pubblico ha tutte le funzioni gestionali hanno difficoltà (lo dicono i dati Confservizi), tendono all’incremento dei costi, anche per un uso in molti casi distorto delle aziende come serbatoio occupazionale.
La politica e le istituzioni locali devono fare un passo indietro rispetto alla gestione ed uno avanti nell’indirizzo e controllo.
I referendum, invece, vanno della direzione opposta. Insomma, se i referendum venissero ammessi e nella competizione elettorale prevalessero i “sì”, il settore idrico italiano darebbe vita ad una nuova esperienza di perdita senza fondo, come quella generata dall’ALITALIA.
Di altri buchi di bilancio, sprechi e carrozzoni il nostro Paese davvero non ha bisogno. Per questo diciamo NO (che significa NON ANDARE A VOTARE) ai referendum che vogliono riportare la gestione dell’acqua in Italia a come era 20 anni fa, moltiplicando i soggetti gestori, eliminando l’efficienza e finanziando sprechi, clientelismo e occupazione da parte dei partiti dei luoghi di decisione, quando invece ciò che serve è una gestione meno statale, meno “nanista”, più partenariato pubblico-privato e più regolazione pubblica del servizio.
Diciamo sì ad una sana concorrenza, in linea con le indicazioni della Unione Europea, che finanzi gli investimenti, contenga i costi e migliori il servizio di gestione idrico.
Diciamo sì ad un grande investimento pubblico per il miglioramento della rete acquedottistica nazionale.
Diciamo sì ad investimenti e controlli sulla sicurezza idrogeologica e sulla potabilità delle acque messa sempre più a rischio dai carrozzoni pubblici che non fanno la depurazione e la sorveglianza come si deve.
Per dire questi sì, NON ANDIAMOA VOTARE per far vincere il NO.
Non per difendere norme che certamente sono perfettibili e che contengono forzature che potrebbero essere migliorate, ma per affermare l’idea di una Italia moderna, efficiente e capace di far quadrare il cerchio tra i bisogni dei cittadini, la libertà di iniziativa economica e la tenuta dinamica dei conti dello Stato.
La MALAFEDE nella propaganda dei sostenitori del SI al referendum contro la “privatizzazione dell’acqua” ne fa la più grande bufala mediatica del dopoguerra.
Nessuna legge, in Italia, ha privatizzato l’acqua e nessun Governo o Partito politico intende proporre una misura di questo tipo.
Le attuali norme prevedono che, ferma restando la proprietà pubblica dell’acqua e delle reti che la portano dalla fonte al rubinetto, la gestione dei servizi sia gestita in un quadro di libero mercato.
Le tariffe, secondo la legge, sono stabilite dagli enti locali, secondo leggi regionali che si ispirano alla normativa nazionale, come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale.
I referendum negano la necessaria separazione delle funzioni di indirizzo, governo, controllo da quelle gestionali: sono mestieri diversi, con competenze molto diverse.
Mantenere questa confusione porta a perpetuare inefficienze, i cui costi vengono scaricati sulla fiscalità generale non hanno la forma di tariffe più alte, ma sono comunque costi a carico dei cittadini.
Questo significherebbe che l’incasso delle bollette non coprirà tutti i costi del servizio che dovranno essere coperti con una apposita tassa, oppure che chiuderanno in perdita, cosa che renderà i nostri acquedotti ancora più colabrodo di quanto non siano oggi.
L’ideologia deve stare fuori dall’organizzazione del servizio idrico e lasciare spazio ad un sano pragmatismo: oggi le società che gestiscono l’acqua con assetto privatistico e quotate in borsa chiudono tutte in utile, restituendo ai comuni che ne sono soci importanti dividendi che vengono utilizzati per finanziare la cultura, i servizi sociali, le opere pubbliche.
Le società nelle quali il pubblico ha tutte le funzioni gestionali hanno difficoltà (lo dicono i dati Confservizi), tendono all’incremento dei costi, anche per un uso in molti casi distorto delle aziende come serbatoio occupazionale.
La politica e le istituzioni locali devono fare un passo indietro rispetto alla gestione ed uno avanti nell’indirizzo e controllo.
I referendum, invece, vanno della direzione opposta. Insomma, se i referendum venissero ammessi e nella competizione elettorale prevalessero i “sì”, il settore idrico italiano darebbe vita ad una nuova esperienza di perdita senza fondo, come quella generata dall’ALITALIA.
Di altri buchi di bilancio, sprechi e carrozzoni il nostro Paese davvero non ha bisogno. Per questo diciamo NO (che significa NON ANDARE A VOTARE) ai referendum che vogliono riportare la gestione dell’acqua in Italia a come era 20 anni fa, moltiplicando i soggetti gestori, eliminando l’efficienza e finanziando sprechi, clientelismo e occupazione da parte dei partiti dei luoghi di decisione, quando invece ciò che serve è una gestione meno statale, meno “nanista”, più partenariato pubblico-privato e più regolazione pubblica del servizio.
Diciamo sì ad una sana concorrenza, in linea con le indicazioni della Unione Europea, che finanzi gli investimenti, contenga i costi e migliori il servizio di gestione idrico.
Diciamo sì ad un grande investimento pubblico per il miglioramento della rete acquedottistica nazionale.
Diciamo sì ad investimenti e controlli sulla sicurezza idrogeologica e sulla potabilità delle acque messa sempre più a rischio dai carrozzoni pubblici che non fanno la depurazione e la sorveglianza come si deve.
Per dire questi sì, NON ANDIAMOA VOTARE per far vincere il NO.
Non per difendere norme che certamente sono perfettibili e che contengono forzature che potrebbero essere migliorate, ma per affermare l’idea di una Italia moderna, efficiente e capace di far quadrare il cerchio tra i bisogni dei cittadini, la libertà di iniziativa economica e la tenuta dinamica dei conti dello Stato.
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