giovedì 9 giugno 2011

ACQUA LIBERA, No alla DISINFORMAZIONE.

Il 12 e il 13 giugno non andiamo a votare.

La MALAFEDE nella propaganda dei sostenitori del SI al referendum contro la “privatizzazione dell’acqua” ne fa la più grande bufala mediatica del dopoguerra.
Nessuna legge, in Italia, ha privatizzato l’acqua e nessun Governo o Partito politico intende proporre una misura di questo tipo.
Le attuali norme prevedono che, ferma restando la proprietà pubblica dell’acqua e delle reti che la portano dalla fonte al rubinetto, la gestione dei servizi sia gestita in un quadro di libero mercato.

Le tariffe, secondo la legge, sono stabilite dagli enti locali, secondo leggi regionali che si ispirano alla normativa nazionale, come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale.
I referendum negano la necessaria separazione delle funzioni di indirizzo, governo, controllo da quelle gestionali: sono mestieri diversi, con competenze molto diverse.
Mantenere questa confusione porta a perpetuare inefficienze, i cui costi vengono scaricati sulla fiscalità generale non hanno la forma di tariffe più alte, ma sono comunque costi a carico dei cittadini.
Questo significherebbe che l’incasso delle bollette non coprirà tutti i costi del servizio che dovranno essere coperti con una apposita tassa, oppure che chiuderanno in perdita, cosa che renderà i nostri acquedotti ancora più colabrodo di quanto non siano oggi.
L’ideologia deve stare fuori dall’organizzazione del servizio idrico e lasciare spazio ad un sano pragmatismo: oggi le società che gestiscono l’acqua con assetto privatistico e quotate in borsa chiudono tutte in utile, restituendo ai comuni che ne sono soci importanti dividendi che vengono utilizzati per finanziare la cultura, i servizi sociali, le opere pubbliche.

Le società nelle quali il pubblico ha tutte le funzioni gestionali hanno difficoltà (lo dicono i dati Confservizi), tendono all’incremento dei costi, anche per un uso in molti casi distorto delle aziende come serbatoio occupazionale.
La politica e le istituzioni locali devono fare un passo indietro rispetto alla gestione ed uno avanti nell’indirizzo e controllo.
I referendum, invece, vanno della direzione opposta. Insomma, se i referendum venissero ammessi e nella competizione elettorale prevalessero i “sì”, il settore idrico italiano darebbe vita ad una nuova esperienza di perdita senza fondo, come quella generata dall’ALITALIA.

Di altri buchi di bilancio, sprechi e carrozzoni il nostro Paese davvero non ha bisogno. Per questo diciamo NO (che significa NON ANDARE A VOTARE) ai referendum che vogliono riportare la gestione dell’acqua in Italia a come era 20 anni fa, moltiplicando i soggetti gestori, eliminando l’efficienza e finanziando sprechi, clientelismo e occupazione da parte dei partiti dei luoghi di decisione, quando invece ciò che serve è una gestione meno statale, meno “nanista”, più partenariato pubblico-privato e più regolazione pubblica del servizio.
Diciamo sì ad una sana concorrenza, in linea con le indicazioni della Unione Europea, che finanzi gli investimenti, contenga i costi e migliori il servizio di gestione idrico.
Diciamo sì ad un grande investimento pubblico per il miglioramento della rete acquedottistica nazionale.
Diciamo sì ad investimenti e controlli sulla sicurezza idrogeologica e sulla potabilità delle acque messa sempre più a rischio dai carrozzoni pubblici che non fanno la depurazione e la sorveglianza come si deve.

Per dire questi sì, NON ANDIAMOA VOTARE per far vincere il NO.
Non per difendere norme che certamente sono perfettibili e che contengono forzature che potrebbero essere migliorate, ma per affermare l’idea di una Italia moderna, efficiente e capace di far quadrare il cerchio tra i bisogni dei cittadini, la libertà di iniziativa economica e la tenuta dinamica dei conti dello Stato.

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