venerdì 30 dicembre 2016

CON LA CULTURA NON SI MANGIA




Un male endemico di questa nostra comunità è una forma particolare di amnesia, caratterizzata da una sorta di torpore mentale, di disabitudine al ricordo.
Uno spaesamento amnestico che viviamo nei confronti dei nostri luoghi, del nostro paesaggio, indifferenti al suo abbandono all’incuria e all’assalto di vandali che lo deturpano e lo devastano.
I luoghi del passato, la loro stessa storia, la loro cultura sembra non abbiano più senso.
Francesco Bevilacqua lo chiama “coma topografico.”
E non solo i luoghi sono dimenticati e non esistono più, ma anche alcuni personaggi che in quei luoghi hanno vissuto e vi hanno lasciato ricche e nobili eredità.
Questa è una comunità che dilapida, più o meno inconsapevolmente, i propri patrimoni, siano essi paesaggistici che culturali.
Dopo vent’anni di ostracismo ero riuscito a richiamare l’attenzione, di molti smemorati o distratti, sulla più grande figura letteraria e intellettuale, nata e vissuta ad Acri, dopo il Padula: il Professor Antonio Giuseppe Arena.
Come canta De Gregori in Festival, “ne hanno fatto un monumento per dimenticarlo un po’ più in fretta.”
Forse è stato così con Arena. Abbiamo intitolato un Largo al Professore, forse per liberarcene definitivamente.


Infatti quest’anno il Premio Letterario a suo nome non ha avuto luogo. Il fantomatico Comitato che se ne occupa ad anni alterni si è dato alla latitanza. L’Amministrazione Comunale che finanzia l’evento con 15.000 € non ne ha fatto menzione, nemmeno tramite il suo indefesso portavoce. Non una sola parola da una sola persona.
D’altronde è notorio il motto dei nostri amministratori, che si rifanno agli antichi romani di duemila anni fa: “Carmina non dant panem”.
“Con la cultura non si mangia”. Ci sono altri campi tematici che soddisfano la loro bulimia, senza grande sforzo intellettivo.  
Ma torniamo al Professore. Arena rischia la stessa sorte che i contemporanei  riservarono al Padula. Per cancellarne la memoria, i potenti suoi avversari fecero sparire persino le tracce della sua sepoltura.
Stiamo parlando di un personaggio, che per la sua opera letteraria e poetica, in un articolo pubblicato nel 1994 sul New York Times dalla scrittrice e giornalista americana Catherine Wall, veniva così definito: “Una delle voci più originali e significative della poesia mondiale dei giorni nostri. Se vogliamo accostarlo ad un contesto riconoscibile dobbiamo risalire al mondo classico, a poeti come Omero e Virgilio, poi fare riferimento a Dante e Petrarca, e infine, giungendo all’epoca contemporanea, richiamare, soprattutto, nomi come  quelli di Federico Garcia Lorca e di Cesare Pavese”.
Se questa definizione corrisponde alla realtà, Antonio Giuseppe Arena, così come Vincenzo Padula, dovrebbe essere studiato nei licei della nostra città. Come nei licei di Matera si studia Carlo Levi.
Ma non si fa in tempo a sistemare il copritomba della damnatio memoriae su un grande della nostra letteratura che gli imbalsamatori più o meno occulti lavorano alla macchina dell'oblio per quello che è rimasto il più grande scrittore vivente, mai insignito di un premio Padula o Arena, di cui ho scritto qualcosa in altre occasioni. Scrivo solo le iniziali, A. G. Vediamo quanti dei miei 24 fallower indovineranno di chi si tratta.
In ogni caso e per rinfrescare… la memoria agli artefici dell'ostracismo areniano ripropongo la lettura di questo mio scritto:  http://www.ferrarosalvatore54.com/2016/05/di-premi-letterari-ed-altre-entita.html .


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